GIOVANNI ARPINO POETA
I versi giovanili dell’autore
Oltre venti quaderni, taccuini e quinterni a quadretti, scritti a penna, a matita e dattiloscritti tra il 1944 e gli anni Cinquanta. Costituiscono il giacimento poetico inedito di Giovanni Arpino ( Pola, 1927 - Torino, 1987), uno dei maggiori romanzieri italiani ed europei del secondo Novecento. In prossimità del trentesimo anniversario della morte di “Arp”, avvenuta il 10 dicembre, a consentirne la consultazione e a permettere la pubblicazione di alcune liriche è la vedova Caterina Brero Arpino. Con il figlio Tommaso, è custode gelosa e appassionata della memoria e dell’opera di suo marito.
“GIOVANNI nasce poeta”, ricorda Caterina nella sua casa di Bra, “a cominciare dalla tesi di laurea dedicata a Serghej Esenin”, edita poi da Marsilio nel 1997. L’attività poetica dell’autore de La suora giovanee de Le mille e una Italia, che Lindau sta per ristampare, ebbe il battesimo, da giovanissimo, nel 1946, con la raccolta di versi D ov ’ è la luce?, fatta stampare a proprie spese. Proseguì e si consolidò grazie soprattutto a Vittorio Sereni e a Elio Vittorini. Prima con Barbaresco (Edizioni della Meridiana, 1954), e quindi con Il prezzo dell’oro ( nella collana “Lo Specchio” della Mondadori, nel 1957), che Franco Fortini, come rammentava Bruno Quaranta in uno dei volumi delle opere di Arpino edite da Rusconi, accolse così: “Letto e riletto con profonda impressione, tanto profonda che ne seguì un sonno disperato e angoscioso”.
La maggior parte dei com- ponimenti inediti, comprese le varianti di alcuni di loro inseriti nelle raccolte citate, risalgono al periodo giovanile, tra i 17 e i 24-25 anni. Era un poeta adolescente che sentiva dentro di sé la vocazione del “bracconiere di storie”, dei romanzi a venire. Non a caso Vittorini, nel leggere le poesie de Il prezzo dell’oro, gli diceva nel maggio 1955: “Mi sono francamente piaciute. (…) Rappresentano, mi sembra, una buona prova di come si può far poesia in senso di racconto”. Era un ragazzo, “Arp”, che già dimostrava di essere uomo (Cesare Pavese affermava che “solamente l’uomo fatto sa essere ragazzo”). Le passioni amorose, come quella per la futura moglie Caterina, e la Resistenza appena conclusa e subito offuscata, il mondo operaio e contadino, le lotte sociali, le attese e le speranze del presente e del futuro, gli odori delle osterie e della campagna, i portici di Torino, sono al centro. Matureranno, sino a diventare l’animo dei primi romanzi: Gli anni del giudizio, per esempio, del 1958. Come in Ap pu nt am ent o, verosimilmente del 1951: “Gli amici lo sanno, ma non dicono niente, /anch'essi come me da molto aspettano/ che
IL LASCITO Venti quaderni, taccuini e quinterni a quadretti, scritti a penna, a matita e dattiloscritti tra il 1944 e gli anni Cinquanta
qualcosa succeda”. E, ancora, in Saranno i poveri, con evidente richiamo ai partigiani: “Non fateci tornare sulle colline, uomini/ che dietro le scrivanie giudicate la terra ”. Nell’Arpino poeta ragazzo c’è il seme del narra- tore di Un delitto d’o nor e, L’ombra delle colline, Il fratello italiano: uno scrittore, un uomo, che seppe sempre stare dentro la realtà del suo tempo, umanissimo tra gli umani.