Il Fatto Quotidiano

Leggete pure ogni mio dipinto Con affetto, Vincent van Gogh

- » FEDERICO PONTIGGIA

Diamo i numeri: 4.500 litri di colori a olio, 62.450 fotogrammi dipinti su tela, 10 anni di gestazione, 125 artisti impiegati, 94 quadri riprodotti, altri 31 rappresent­ati parzialmen­te, 94 minuti di durata.

Sono le cifre da capogiro dell’animazione Lo v i n g Vincent, il primo lungometra­ggio interament­e dipinto su tela. Coproduzio­ne anglo- polacca, a firmarne la regia sono Dorota Kobiela e il marito, già premio Oscar per Peter and the Wolf, Hugh Welchman, che prendono in parola Vincent van Gogh: “Non possiamo che parlare con i nostri dipinti”.

I SUOI CELEBERRIM­I, d al Dottor Gachet a Caffè di notte, da Campo di grano con volo di corvi a Notte stellata, prendono vita grazie al lavoro di 125 colleghi e tanta tecnologia, e della partita sono anche gli attori chiamati a incarnare con il rotoscope Vincent, ovvero Robert Gulaczyk, Armand Roulin, ossia Douglas Booth, il dottor Paul Gachet, vale a dire Jerome Flynn, nonché sua figlia Marguerite Gachet, Saoirse Ronan, e il postino Joseph Roulin, Chris O’Dowd.

È proprio quest’ulti mo, siamo in Francia nell’estate del 1891, a dare al figlio Armand perdigiorn­o e scavezzaco­llo una missione: consegnare nelle mani di Théo van Gogh, il fratello del de- funto pittore, una lettera. Primo problema, Armand è assai riluttante: l’a m ic i z i a tra il padre e quell’a r ti st a fuori di testa, tanto da tagliarsi un orecchio e ricoverars­i in manicomio, non l’ha mai accettata; secondo problema, a Parigi di Théo non v’è traccia.

Ma Armand ci prende gusto e non demorde: si reca prima da Père Tanguy, un commercian­te di colori, e quindi nel villaggio di Auvers-sur-Oise, a un’ora dalla Capitale, a incontrare il medico che si occupò di Vincent nell’ultimo periodo, il dottor Paul Gachet. Alla locanda dei Ravoux, finale sistemazio­ne del pittore, Armand cerca di capire se il proiettile in pancia per cui morì il 29 luglio 1890 Van Gogh lo esplose lui medesimo o meno: suicidio o omicidio, come terminò la vita di quello che ancora oggi, a pari merito con Picasso, è l’epitome stessa dell’a rt ista?

Loving Vincent, che prende il titolo dalle parole con cui concludeva le sue missive, nasce proprio dallo studio della corrispond­enza di Van Gogh da parte della Kobiela, che complice l’esperienza del marito ha saputo coniugare la passione per l’arte e la predilezio­ne per l’animazione in un film senza eguali: i quadri non solo parlano, ma ritrovano qui il loro primo colore, la vita, i cieli, il grano, i girasoli, i tratti, ritratti e autoritrat­ti del pittore olandese sono il suo quotidiano, i suoi incontri, gli sguardi fuori dalla finestra.

MA, ED È FORSE il contributo principale, Loving Vincent evidenza il tormento, la disperazio­ne, la follia e l’amore di Van Gogh non solo, e non tanto, nell’autopsia esistenzia­le di Armand, bensì proprio nella messa in cinema, ovvero in movimento, delle sue opere: soli avvitati che preconizza­no quel letale foto di proiettile, cieli che sono vuoti a perdere, autoritrat­ti strappati alla lapide, l’arte-vita è già terminale, sintomo scoperto della sua impotenza e finitezza.

Prima di andarsene Vincent vendette un solo quadro, re-immaginarn­e quelle 94 e più tele come fossero un film lo ricompensa ex post almeno quanto gli 82 milio- ni di dollari e mezzo staccati per il suo Dottor Gachet, ma l’omaggio di Kobiela & Welchman pur poetico e fascinoso non è indenne da difetti: originaria­mente inteso quale cortometra­ggio di sette minuti dipinto dalla sola regista, il gonfiaggio al lungo non è in toto crescita felice, ma qui e là permeabile alla noia, ché si carbura lentamente e la d etection di Armand è sovente farraginos­a.

NULLA DI COMPROMESS­O, al contrario, Loving Vincent conferma il senso dei polacchi per l’animazione: nelle nostre sale per tre giorni dal 16 al 18 ottobre con Nexo Digital, il film ha aperto il Polish Film Festival in corso a Gdynia e interament­e votato alla produzione nazionale.

L’animazione celebra il 70° anniversar­io, e dalla retrospett­iva di Witold Giersz – superbo il suo The Horse del 1967 – a Baths diretto da Tomasz Ducki nel 2013 è una storia virtuosa, ardita e ancora vivissima.

Con un obiettivo a breve termine: centrare la cinquina con Loving Vincent, e poi sognare una Notte degli Oscar sotto le stelle di Van Gogh.

Il tormento Ogni quadro ritrova il suo posto nella vita del pittore e fa luce sull’amore e la follia

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Terrazza del caffè la sera Il film ha aperto il Polish Festival di Gdynia
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