“Ho 30 smoking e 3500 trucchi ancora da fare”
L’INTERVISTA L’illusionista: “Mi hanno offerto cifre alte, la mia morale mi impedisce di truffare la gente”
“Aspettavo la domenica e i funerali. Per me una gioia. Allora ero un chierichetto a Venezia e ogni volta il prete si raccomandava: ‘Aldo, per favore, basta un solo cucchiaino d’incenso’. Non gli davo retta, ne utilizzavo quattro, poi quando uscivo dal tabernacolo mi piazzavo davanti alla bara: intorno a me creavo una sorta di nebbia, tutti mi guardavano, il mio egocentrismo infantile veniva saziato. Ero il protagonista assoluto della scena. Mi sentivo un ma go ”. Pochi anni dopo quell’un generico si sarebbe trasformato in un perentorio e assoluto il e sotto il nome d’arte di Silvan. Modi garbati, conosce e fa sue le regole strette del galateo, indossa la camicia con i gemelli anche in una mattinata qualunque, quando parla utilizza le mani per mantenere l’attenzione dell’interlocutore, quasi ipnotizza; è padrone della sua voce, parla quattro lingue “più il veneziano stretto”, e ha un qualcosa da eterno fanciullo. “Comunque tutto quell’incenso mi seccava la gola, così alla fine della messa prendevo un po’ del vino del prete per inumidirla...”. Quando ha scoperto la magia?
A sette anni, a Crespano del Grappa, dove andavo in vacanza con i miei: lì incontrai un prestigiatore e come un cartoon rimasi incantato davanti a lui. Poi quattro anni dopo venne a Venezia un mago peruviano, si chiamava Ricciardi, bravissimo, uno dei migliori che abbia mai visto. Quella sera lo aspettai fuori dal teatro, già allora portavo sempre con me qualche giochino, così mi esibii al volo per lui; alla fine mi disse: “Bravo, mi raccomando continua”. Me ne andai estasiato, fiero di me e della sua reazione.
Cosa leggeva da bambino? Mandrakeè stata la mia fonte iniziale. Poi i racconti biblici, specialmente quando si narra della divisione delle acque, la bacchetta di Mosè tramutata in serpente, o la manna che cadeva dal cielo: ero già affascinato da tutto quello che era magico.
Anche perché da chierichetto frequentava la chiesa. Mica solo una, ma tutte quel- le di Venezia: stavo sempre in oratorio e mi esibivo con un numero nel quale tramutavo l’acqua in vino, fino a quando il prete se n’è accorto e mi ha chiesto di smetterla.
Il rapporto tra lei e Silvan... Non c’è differenza e questo aspetto non mi è mai pesato: un chirurgo è tale, non solo in sala operatoria; un prete lo è pure al di fuori della chiesa. Anche oggi ha sempre “qualcosa” con sé? Questione di esperienza: se vengo invitato fuori, so perfettamente che prima o dopo qualcuno mi chiederà una dimostrazione, avrà voglia di restare stupito, di verificare. E io sono pronto.
C’è differenza tra prestigiatore e mago?
In molti se lo domandano, ma sono la stessa cosa, sono sinonimi.
Lei chi è?
Un prestigiatore, o meglio, un illusionista. Però sono anche un manipolatore, è il mio è un dono di natura, insomma sfrutto delle capacità innate (si alza in piedi, improvvisamente inizia a giocare con una monetina. La monetina diventa una moneta d’argento. La moneta d’argento una conchiglia: “La prenda, le porterà fortuna”). Questa è magia, se sai crearla e porgerla nella maniera giusta. Lei ha provato a cercare l’inganno prestidigitatorio, vero?
Sì.
Per questo non ripeto mai un gioco. Mai. È una condicio sine qua non fo ndament ale, perché l’effetto immediato di chi mi guarda, in parte svanisce con la replica: ogni spettatore cerca di scoprire la soluzione in chiave razionale. Non faccio il mago. Io sono il mago. La cosa è differente.
(Si apre una porta di casa. Esce la moglie. È una bella donna dall’accento inglese)
Come vi siete conosciuti? Lavoravo a Londra, un giorno su Regent Street vedo una ragazza allestire una vetrina. Mi fermo: era bellissima. Entro nel negozio, la cerco, ma come un colpo di magia era scomparsa; chiedo notizie ai proprietari: era una professionista laureata in una delle migliori università della città. Dopo un anno la ritrovo al Savoy hotel dove aprivo gli spettacoli di star come Tom Jones e Shirley Bassey. Mi presento. Quindi la invito a prendere una tazza di tè, rifiuta, io resto turbato, anche perché suscitavo un certo interesse da parte delle donne. Dopo qualche giorno l’ho convinta.
Un po’ intimidiva le donne...
Questo lo dice lei, non voglio passare da presuntuoso, non posso auto-sviolinarmi. (Silenzio) Forse in parte è così.
Carisma?
La prego, non mi porti su strade celebrative.
Qual è il suo valore aggiunto: lo charme? Lo stile? Ecco, qui cado nella presunzione. E devo molto alle mie origini veneziane, questione di tradizione, con in più un padre molto cha rmant che nel 1926 e 1928 ha vinto il concorso “Rodolfo Valentino”. Venne anche invitato a Hollywood, ma rifiutò di andare: non ha mai perso la testa, aveva altri valori.
Quando scriveva per Topolino le sono arrivate circa 25mila lettere...
Quella rubrica è durata tre anni e vendeva un milione e duecentomila copie a settimana. Allora era così, ci si affezionava ai personaggi, c’era una partecipazione che non si limitava al selfie occasionale, c’era un coinvolgimento differente e perenne. I suoi figli si sono mai scocciati?
Da bambini sì. Per carità, erano contenti di vedermi in televisione, ma ugualmente gelosi: mi ricordo ancora una volta in cui li ho portati al circo, e appena il presentatore ha annunciato la mia presenza, siamo stati sommersi da richieste, abbracci e autografi. I miei due figli spiazzati, tristi: mi volevano per loro. Da quella volta mi hanno chiesto di uscire con il cappello e gli occhiali. Anche oggi?
Sì, in particolare mio figlio. Però attenzione: sono felicissimo di questa popolarità. Fe-li-cis-si-mo. E mi considero un uomo fortunato. Gli autografi non sono più di moda...
Un tempo uscivo di casa con pacchi di cartoline da regalare, ora le ho accumulate in magazzino, la gente vuole solo selfie. Però rientro ancora in quella nicchia di persone che conserva la popolarità di un tempo, un po’come la Carrà e Baudo. L’anno scorso ho partecipato a quattro trasmissioni di Barbara D’Urso con picchi d’audience, stessa storia a Sanremo. Ho pure rifiutato dieci puntate con Milly Carlucci a Ballando con le stelle.
Pentito?
No. Sono un mago e da lì non mi muovo. Però la cifra offerta era veramente alta. In famiglia qualcuno ha seguito le sue orme?
Mio figlio ha due lauree, intelligente e prestante, avrebbe avuto tutte le possibilità e caratteristiche per diventare un grandissimo, ma non ha voluto, ha preferito rinunciare e diventare il regista dei miei spettacoli. Pareggiare Silvan non è semplice. Forse è questo, e mi dispiace. Così insegno i primi rudimenti ai miei nipoti, ogni tanto mia figlia consiglia di essere meno severo, ma non ci penso proprio: la base la devo trasmettere come dico io, poi uno può sbizzarrirsi, ma all’inizio no. Ha salvato il bambino in lei?
( Sorride e resta in silenzio)
Non dimentico mai quello che mi viene dettato dal cuore, l’aspetto fanciullesco, quello autentico, quello che ci suggerisce i giusti comportamenti e regala l’e n tu si asmo. Ecco la parole chiave: entusiasmo e passione. Si diverte...
Sempre. Si esercita molto?
Varie ore al giorno: la sera mi alleno con cento carte, sono l’unico al mondo in grado di manipolarne 140 e con una mano sola. A oggi ho un arsenale di circa 3.500 giochi e 150 illusioni. Non si scherza...
La magia ha una sua tradizione antica, affonda nei millenni, non è il giochino sciocco. È un’arte. Con la magia si sono applicati illuministi come Voltaire, o ci sono personaggi importanti della politica italiana come Giulio Andreotti o Silvio Berlusconi... Li ha conosciuti bene?
Eccome, più volte ma non solo loro... preferisco non dirle altro. Lei più e più volte ha parlato di “finzione”, mentre le persone vogliono sia vero. Sì. Alla fine lascio credere
Vendeva sacchettini di velluto con il nulla dentro e allora chiedeva 250mila lire l’uno. Ha costruito una fortuna
UN COLLEGA “INDEGNO” Professionisti: ogni sera identici nei movimenti e nelle smorfie; sempre uguali eppure in apparenza spontanei
SINATRA E MARTIN
Lo stile di vita Mi alleno ogni giorno, bevo solo ai pasti, ho un arsenale di circa 3.500 giochi: non ripeto mai lo stesso due volte
quello che vogliono. Se sono riuscito a far passare l’e s istenza della magia, la materializzazione dell’ogg etto, allora va bene. Mantengo il
dubbio. (Si alza di nuovo in piedi, mi domanda di spostare a piacimento e coperto la lancetta delle ore sul mio orologio. Poco dopo mi mostra il suo cronografo. Segnano la stessa ora). Le hanno mai chiesto dei miracoli?
Con tanto di assegni in bianco sul tavolo; nella mia vita ho ricevuto delle telefonate incredibili, ma oramai riconosco certi soggetti dal semplice “pronto”, così li blocco subito: “Alt signora, non vada avanti. Lei mi ha chiamato per cercare un consulto, un in
contro. È vero?”. E loro?
Stupite, rispondono: “Ma come ha fatto?”. E io: “Mi dispiace, sono un illusionista e non un ciarlatano”. Però bisogna stare molto attenti, se non avessi avuto un’indole e una cultura famigliare solida e onesta, mi sarei potuto lasciare andare e diventare milionario. Avrei turlupinato migliaia di persone. Altri suoi colleghi lo fanno?
Conosco un mago che vendeva sacchettini di velluto con il nulla dentro e allora chiedeva 250mila lire l’uno. Ha costruito una fortuna, palazzi interi, e ho assistito pure a qualcuno dei suoi incontri: situazioni da brividi. Alla fine gli ho detto: “Sei indegno”, e lui candidamente mi ha risposto: “E che ci devo fare? Ci credono”. Solo questo caso?
Macché. Negli anni Ottanta ricevo in casa il direttore di un settimanale molto diffuso, con lui c’è un signore a me sconosciuto. Me lo presenta: “Lui ha una grande industria di rosari e medaglie del Papa”. E quindi?
Volevano produrre un ciondolo con incisa la scritta: “Porta fortuna, la magia di Silvan” e la mia immagine in rilievo. Sa quanto mi hanno offerto? Cento milioni e parliamo di oltre trent’anni fa. Un “no” senza dubbi?
Ci mancherebbe. Ma non l’unico: negli anni Settanta il marchese Antonio Gerini era il mio manager, un giorno mi chiama: “Aldo, ti vogliono nel
film Metti lo coso tuo nella cosa mia”. Era il periodo delle pellicole pruriginose. Anche in quel caso ho rifiutato.
Legge “Harry Potter”?
Li ho tutti, guardi lì (e indica la libreria). È la dimostrazione di come il fascino per la magia è sempre elevato nonostante computer e consolle. Intorno a lei avverte invidia?
Ci sono colleghi che vengono a vedere i miei spettacoli più e più volte. Credo nell’ammirazione... Ha mai giocato a poker?
Su un vecchio passaporto è scritto: non può entrare al casinò. Com’è possibile?
Ad Aix-les-Bains in Francia frequentavo la figlia del sindaco e per il suo compleanno mi sono cimentato in alcuni giochi di manipolazione con le carte. Al mattino dopo mi hanno chiamato e proibito l’accesso al casinò. Anzi, tutti i casinò. Ma ha mai realmente giocato? Ho smesso dopo un’e s p erienza terribile. Nel 1963 ero a Las Vegas e dovevo restarci un solo mese, ne ho passati 13 e con ben due spettacoli al giorno, addirittura tre la domenica. Molti miei colleghi di allora erano stati contagiati dall’ambiente e puntavano forte, alcuni si sono rovinati. A un certo punto uno di loro si è suicidato, venti giorni dopo anche il gemello. Da lì ho smesso con l’azzardo. Las Vegas, allora...
Come è oggi, ma con l’ingenuità degli anni Sessanta, quindi tutto amplificato, una dimensione onirica, ciò che vedevi sembrava irreale, con ragazze pagate solo per far bere e il rumore incessante e perpetuo delle slot machine. Andavo a letto non prima delle cinque del mattino. È pieno di film sui pericolosi italo- americani del tempo... Qualcuno l’ho conosciuto, ma non abboccavo, mantenevo le distanze; persone fuori dal mondo, uno mi chiese: “Paesà, commme a sta Mussolini?”
Tipo Marlon Brando nel Pa
drino?
No, se ripenso a loro me li ricordo come figure insignificanti, il loro valore era dato dagli energumeni che li accompagnavano. Per loro mi sono cimentato in alcuni party privati, per fortuna pochi, ero più impegnato negli spettacoli d’apertura a Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr. Li frequentava?
Poco, una volta una pizza con Sinatra, ma era complicato, sempre circondati da fan e personale; con loro ho capito cosa vuol dire il professionismo: ogni sera erano identici nei movimenti, nelle scenette, nelle smorfie, come la sigaretta spenta con il piede o l’impermeabile sull’a v a mbraccio; sempre uguali eppure in apparenza spontanei. Beve vino?
Un bicchiere a pranzo e uno a cena, i super alcolici quasi mai. Quanti smoking ha nell’armadio...
Credo una trentina. Però evito di mostrarglieli, mi sembrerebbe troppo.