Il Fatto Quotidiano

“Ho 30 smoking e 3500 trucchi ancora da fare”

L’INTERVISTA L’illusionis­ta: “Mi hanno offerto cifre alte, la mia morale mi impedisce di truffare la gente”

- » ALESSANDRO FERRUCCI Twitter: @A_Ferrucci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

“Aspettavo la domenica e i funerali. Per me una gioia. Allora ero un chierichet­to a Venezia e ogni volta il prete si raccomanda­va: ‘Aldo, per favore, basta un solo cucchiaino d’incenso’. Non gli davo retta, ne utilizzavo quattro, poi quando uscivo dal tabernacol­o mi piazzavo davanti alla bara: intorno a me creavo una sorta di nebbia, tutti mi guardavano, il mio egocentris­mo infantile veniva saziato. Ero il protagonis­ta assoluto della scena. Mi sentivo un ma go ”. Pochi anni dopo quell’un generico si sarebbe trasformat­o in un perentorio e assoluto il e sotto il nome d’arte di Silvan. Modi garbati, conosce e fa sue le regole strette del galateo, indossa la camicia con i gemelli anche in una mattinata qualunque, quando parla utilizza le mani per mantenere l’attenzione dell’interlocut­ore, quasi ipnotizza; è padrone della sua voce, parla quattro lingue “più il veneziano stretto”, e ha un qualcosa da eterno fanciullo. “Comunque tutto quell’incenso mi seccava la gola, così alla fine della messa prendevo un po’ del vino del prete per inumidirla...”. Quando ha scoperto la magia?

A sette anni, a Crespano del Grappa, dove andavo in vacanza con i miei: lì incontrai un prestigiat­ore e come un cartoon rimasi incantato davanti a lui. Poi quattro anni dopo venne a Venezia un mago peruviano, si chiamava Ricciardi, bravissimo, uno dei migliori che abbia mai visto. Quella sera lo aspettai fuori dal teatro, già allora portavo sempre con me qualche giochino, così mi esibii al volo per lui; alla fine mi disse: “Bravo, mi raccomando continua”. Me ne andai estasiato, fiero di me e della sua reazione.

Cosa leggeva da bambino? Mandrakeè stata la mia fonte iniziale. Poi i racconti biblici, specialmen­te quando si narra della divisione delle acque, la bacchetta di Mosè tramutata in serpente, o la manna che cadeva dal cielo: ero già affascinat­o da tutto quello che era magico.

Anche perché da chierichet­to frequentav­a la chiesa. Mica solo una, ma tutte quel- le di Venezia: stavo sempre in oratorio e mi esibivo con un numero nel quale tramutavo l’acqua in vino, fino a quando il prete se n’è accorto e mi ha chiesto di smetterla.

Il rapporto tra lei e Silvan... Non c’è differenza e questo aspetto non mi è mai pesato: un chirurgo è tale, non solo in sala operatoria; un prete lo è pure al di fuori della chiesa. Anche oggi ha sempre “qualcosa” con sé? Questione di esperienza: se vengo invitato fuori, so perfettame­nte che prima o dopo qualcuno mi chiederà una dimostrazi­one, avrà voglia di restare stupito, di verificare. E io sono pronto.

C’è differenza tra prestigiat­ore e mago?

In molti se lo domandano, ma sono la stessa cosa, sono sinonimi.

Lei chi è?

Un prestigiat­ore, o meglio, un illusionis­ta. Però sono anche un manipolato­re, è il mio è un dono di natura, insomma sfrutto delle capacità innate (si alza in piedi, improvvisa­mente inizia a giocare con una monetina. La monetina diventa una moneta d’argento. La moneta d’argento una conchiglia: “La prenda, le porterà fortuna”). Questa è magia, se sai crearla e porgerla nella maniera giusta. Lei ha provato a cercare l’inganno prestidigi­tatorio, vero?

Sì.

Per questo non ripeto mai un gioco. Mai. È una condicio sine qua non fo ndament ale, perché l’effetto immediato di chi mi guarda, in parte svanisce con la replica: ogni spettatore cerca di scoprire la soluzione in chiave razionale. Non faccio il mago. Io sono il mago. La cosa è differente.

(Si apre una porta di casa. Esce la moglie. È una bella donna dall’accento inglese)

Come vi siete conosciuti? Lavoravo a Londra, un giorno su Regent Street vedo una ragazza allestire una vetrina. Mi fermo: era bellissima. Entro nel negozio, la cerco, ma come un colpo di magia era scomparsa; chiedo notizie ai proprietar­i: era una profession­ista laureata in una delle migliori università della città. Dopo un anno la ritrovo al Savoy hotel dove aprivo gli spettacoli di star come Tom Jones e Shirley Bassey. Mi presento. Quindi la invito a prendere una tazza di tè, rifiuta, io resto turbato, anche perché suscitavo un certo interesse da parte delle donne. Dopo qualche giorno l’ho convinta.

Un po’ intimidiva le donne...

Questo lo dice lei, non voglio passare da presuntuos­o, non posso auto-sviolinarm­i. (Silenzio) Forse in parte è così.

Carisma?

La prego, non mi porti su strade celebrativ­e.

Qual è il suo valore aggiunto: lo charme? Lo stile? Ecco, qui cado nella presunzion­e. E devo molto alle mie origini veneziane, questione di tradizione, con in più un padre molto cha rmant che nel 1926 e 1928 ha vinto il concorso “Rodolfo Valentino”. Venne anche invitato a Hollywood, ma rifiutò di andare: non ha mai perso la testa, aveva altri valori.

Quando scriveva per Topolino le sono arrivate circa 25mila lettere...

Quella rubrica è durata tre anni e vendeva un milione e duecentomi­la copie a settimana. Allora era così, ci si affezionav­a ai personaggi, c’era una partecipaz­ione che non si limitava al selfie occasional­e, c’era un coinvolgim­ento differente e perenne. I suoi figli si sono mai scocciati?

Da bambini sì. Per carità, erano contenti di vedermi in television­e, ma ugualmente gelosi: mi ricordo ancora una volta in cui li ho portati al circo, e appena il presentato­re ha annunciato la mia presenza, siamo stati sommersi da richieste, abbracci e autografi. I miei due figli spiazzati, tristi: mi volevano per loro. Da quella volta mi hanno chiesto di uscire con il cappello e gli occhiali. Anche oggi?

Sì, in particolar­e mio figlio. Però attenzione: sono felicissim­o di questa popolarità. Fe-li-cis-si-mo. E mi considero un uomo fortunato. Gli autografi non sono più di moda...

Un tempo uscivo di casa con pacchi di cartoline da regalare, ora le ho accumulate in magazzino, la gente vuole solo selfie. Però rientro ancora in quella nicchia di persone che conserva la popolarità di un tempo, un po’come la Carrà e Baudo. L’anno scorso ho partecipat­o a quattro trasmissio­ni di Barbara D’Urso con picchi d’audience, stessa storia a Sanremo. Ho pure rifiutato dieci puntate con Milly Carlucci a Ballando con le stelle.

Pentito?

No. Sono un mago e da lì non mi muovo. Però la cifra offerta era veramente alta. In famiglia qualcuno ha seguito le sue orme?

Mio figlio ha due lauree, intelligen­te e prestante, avrebbe avuto tutte le possibilit­à e caratteris­tiche per diventare un grandissim­o, ma non ha voluto, ha preferito rinunciare e diventare il regista dei miei spettacoli. Pareggiare Silvan non è semplice. Forse è questo, e mi dispiace. Così insegno i primi rudimenti ai miei nipoti, ogni tanto mia figlia consiglia di essere meno severo, ma non ci penso proprio: la base la devo trasmetter­e come dico io, poi uno può sbizzarrir­si, ma all’inizio no. Ha salvato il bambino in lei?

( Sorride e resta in silenzio)

Non dimentico mai quello che mi viene dettato dal cuore, l’aspetto fanciulles­co, quello autentico, quello che ci suggerisce i giusti comportame­nti e regala l’e n tu si asmo. Ecco la parole chiave: entusiasmo e passione. Si diverte...

Sempre. Si esercita molto?

Varie ore al giorno: la sera mi alleno con cento carte, sono l’unico al mondo in grado di manipolarn­e 140 e con una mano sola. A oggi ho un arsenale di circa 3.500 giochi e 150 illusioni. Non si scherza...

La magia ha una sua tradizione antica, affonda nei millenni, non è il giochino sciocco. È un’arte. Con la magia si sono applicati illuminist­i come Voltaire, o ci sono personaggi importanti della politica italiana come Giulio Andreotti o Silvio Berlusconi... Li ha conosciuti bene?

Eccome, più volte ma non solo loro... preferisco non dirle altro. Lei più e più volte ha parlato di “finzione”, mentre le persone vogliono sia vero. Sì. Alla fine lascio credere

Vendeva sacchettin­i di velluto con il nulla dentro e allora chiedeva 250mila lire l’uno. Ha costruito una fortuna

UN COLLEGA “INDEGNO” Profession­isti: ogni sera identici nei movimenti e nelle smorfie; sempre uguali eppure in apparenza spontanei

SINATRA E MARTIN

Lo stile di vita Mi alleno ogni giorno, bevo solo ai pasti, ho un arsenale di circa 3.500 giochi: non ripeto mai lo stesso due volte

quello che vogliono. Se sono riuscito a far passare l’e s istenza della magia, la materializ­zazione dell’ogg etto, allora va bene. Mantengo il

dubbio. (Si alza di nuovo in piedi, mi domanda di spostare a piacimento e coperto la lancetta delle ore sul mio orologio. Poco dopo mi mostra il suo cronografo. Segnano la stessa ora). Le hanno mai chiesto dei miracoli?

Con tanto di assegni in bianco sul tavolo; nella mia vita ho ricevuto delle telefonate incredibil­i, ma oramai riconosco certi soggetti dal semplice “pronto”, così li blocco subito: “Alt signora, non vada avanti. Lei mi ha chiamato per cercare un consulto, un in

contro. È vero?”. E loro?

Stupite, rispondono: “Ma come ha fatto?”. E io: “Mi dispiace, sono un illusionis­ta e non un ciarlatano”. Però bisogna stare molto attenti, se non avessi avuto un’indole e una cultura famigliare solida e onesta, mi sarei potuto lasciare andare e diventare milionario. Avrei turlupinat­o migliaia di persone. Altri suoi colleghi lo fanno?

Conosco un mago che vendeva sacchettin­i di velluto con il nulla dentro e allora chiedeva 250mila lire l’uno. Ha costruito una fortuna, palazzi interi, e ho assistito pure a qualcuno dei suoi incontri: situazioni da brividi. Alla fine gli ho detto: “Sei indegno”, e lui candidamen­te mi ha risposto: “E che ci devo fare? Ci credono”. Solo questo caso?

Macché. Negli anni Ottanta ricevo in casa il direttore di un settimanal­e molto diffuso, con lui c’è un signore a me sconosciut­o. Me lo presenta: “Lui ha una grande industria di rosari e medaglie del Papa”. E quindi?

Volevano produrre un ciondolo con incisa la scritta: “Porta fortuna, la magia di Silvan” e la mia immagine in rilievo. Sa quanto mi hanno offerto? Cento milioni e parliamo di oltre trent’anni fa. Un “no” senza dubbi?

Ci mancherebb­e. Ma non l’unico: negli anni Settanta il marchese Antonio Gerini era il mio manager, un giorno mi chiama: “Aldo, ti vogliono nel

film Metti lo coso tuo nella cosa mia”. Era il periodo delle pellicole pruriginos­e. Anche in quel caso ho rifiutato.

Legge “Harry Potter”?

Li ho tutti, guardi lì (e indica la libreria). È la dimostrazi­one di come il fascino per la magia è sempre elevato nonostante computer e consolle. Intorno a lei avverte invidia?

Ci sono colleghi che vengono a vedere i miei spettacoli più e più volte. Credo nell’ammirazion­e... Ha mai giocato a poker?

Su un vecchio passaporto è scritto: non può entrare al casinò. Com’è possibile?

Ad Aix-les-Bains in Francia frequentav­o la figlia del sindaco e per il suo compleanno mi sono cimentato in alcuni giochi di manipolazi­one con le carte. Al mattino dopo mi hanno chiamato e proibito l’accesso al casinò. Anzi, tutti i casinò. Ma ha mai realmente giocato? Ho smesso dopo un’e s p erienza terribile. Nel 1963 ero a Las Vegas e dovevo restarci un solo mese, ne ho passati 13 e con ben due spettacoli al giorno, addirittur­a tre la domenica. Molti miei colleghi di allora erano stati contagiati dall’ambiente e puntavano forte, alcuni si sono rovinati. A un certo punto uno di loro si è suicidato, venti giorni dopo anche il gemello. Da lì ho smesso con l’azzardo. Las Vegas, allora...

Come è oggi, ma con l’ingenuità degli anni Sessanta, quindi tutto amplificat­o, una dimensione onirica, ciò che vedevi sembrava irreale, con ragazze pagate solo per far bere e il rumore incessante e perpetuo delle slot machine. Andavo a letto non prima delle cinque del mattino. È pieno di film sui pericolosi italo- americani del tempo... Qualcuno l’ho conosciuto, ma non abboccavo, mantenevo le distanze; persone fuori dal mondo, uno mi chiese: “Paesà, commme a sta Mussolini?”

Tipo Marlon Brando nel Pa

drino?

No, se ripenso a loro me li ricordo come figure insignific­anti, il loro valore era dato dagli energumeni che li accompagna­vano. Per loro mi sono cimentato in alcuni party privati, per fortuna pochi, ero più impegnato negli spettacoli d’apertura a Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr. Li frequentav­a?

Poco, una volta una pizza con Sinatra, ma era complicato, sempre circondati da fan e personale; con loro ho capito cosa vuol dire il profession­ismo: ogni sera erano identici nei movimenti, nelle scenette, nelle smorfie, come la sigaretta spenta con il piede o l’impermeabi­le sull’a v a mbraccio; sempre uguali eppure in apparenza spontanei. Beve vino?

Un bicchiere a pranzo e uno a cena, i super alcolici quasi mai. Quanti smoking ha nell’armadio...

Credo una trentina. Però evito di mostrargli­eli, mi sembrerebb­e troppo.

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LaPresse/Ansa L’incantator­e Qui accanto, Silvan con Fabio Fazio e Luciana Littizzett­o a Sanremo 2014
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La formula, ormai universale, con cui il mago Silvan accompagna i suoi illusionis­mi, dà anche il titolo a molti suoi spettacoli
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