Tv, strane manovre di Franceschini frenate da Gentiloni
Il ministro vuole imporre l’aumento di produzioni e trasmissioni di cinema e fiction italiane: le emittenti si ribellano e Gentiloni rinvia il decreto delegato
Forse il ministro Dario Franceschini non l’ha capito e, se l’ha capito, è davvero animato da spropositate ambizioni. Perché il decreto che impone più prodotti italiani di cinema e fiction a Sky Italia, Mediaset, la pubblica Raie sorelle, aleggerei dettagli di unte sto bloccato più volte da Palazzo Chig i, assomiglia a un progetto di Franceschini Tv con una legge che fa i palinsesti.
Il ministro della Cultura rivendica l’orgoglio nazionale e il modello francese: lo importiamo, promette, senza importare le abitudini e la fiscalità di Parigi. Per esempio, il testo prescrive un obbligo quotidiano del 60 per cento del tempo di cinema o fiction italiane nel segmento 18-23, cioè prende in considerazione la prima serata francese, che inizia e finisce in anticipo: con questo criterio, anche se dal computo sono esclusi giochi, notizie, sport e pure la pubblicità, Raiuno dovrebbe spezzettare in più giorni una pellicola di Steven Spielberg o di Ron Howard. Come fa, ancora, il satellite di Rupert Murdoch con i canali Cinema e Sky Uno, zeppi di successi americani?
E ancora. Franceschini Tv ordina una dieta di intrattenimento al pubblico e un’abbuffata di cinema e fiction italiane in lingua originale. The Young Pope di Paolo Sorrentino, girato in inglese con attori perlopiù inglesi ( Jude Law e Diane Keaton), rispetta l’italianità? Più che una battuta, le tv cercano una soluzione per respingere Franceschini che, in un biennio, vuol portare dal 10 al 20% del fatturato la spesa per il cinema e la fiction europea e italiana (il 30 per Viale Mazzini).
Il ministro risponde all’esigenza di tutelare un mercato nazionale per anni sfiancato e non protetto dai vigilanti – l’Autorità di controllo (Agcom) è sempre parca di multe – e fin qui ha ragione, ma poi esagera perché, con un colpo di teatro, anzi di cinema, ha tentato di fregare Mediaset & C. E fregare il Biscione, insegna l’ ultimo quarto di secolo, è assai complesso. Se Franceschini ha l’ossessione del made in Italy, le televisioni han- no la concorrenza spietata di Netflix e Google, le televisioni non lineari che vanno su Internet e sfruttano l’economia di scala: pagano milioni di euro serie tv che vendono ovunque, spendono spiccioli in Italia e lasciano mance. Il governo è inerme, Internet non prevede concessioni a differenza delle televisioni classiche.
Quant’è bello negoziare e giocare sporco
Con l’avvento di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, dopo la gestione dei Rapporti col Parlamento in epoca Enrico Letta (lui, sì, fregato dal compagno Dario), Franceschini si è rintanato al ministero della Cultura, un luogo ideale per coltivare le relazioni, influenzare la comunicazione, guadagnare passerelle col papillon. E poi con la cultura si mangia, e poi la cultura è di sinistra. Francesch in ihav arato una riforma del Cinema ancora imbozzolata con pochi fondi reali e pochi decreti attuativi. Per completare un’opera incompleta, adesso si è concentrato sulle televisioni.
Per un paio di anni, attorno a un tavolo ampio e non proprio sintetico che riunisce i dirigenti delle aziende e le associazioni di categoria, al ministero hanno ragionato sul contestato decreto delegato che stravolge il “T usmar”, il testo unico delle leggi sul settore radiotv: sistema inglese secco oppure sistema francese corretto, quote ritoccate o quote raddoppiate, chissà. C’era fra i partecipanti la sensazione di lavorare con la stessa efficacia con cui in Parlamento lavorano alla legge elettorale. A vuoto.
Durante le vacanze d’agosto, però, i solerti tecnici di Franceschini, ispirati dal consigliere giuridico Lorenzo Casini, hanno spedito una bozza agli editori tv. Per non rinviare la pratica al già so- vraccarico settembre e non interrompere il dialogo con il ministero, le televisioni hanno replicato con alcune proposte di modifica e aspettano i documenti conclusivi. Ma Franceschini fa giochi di prestigio: il 12 settembre a Sky e sorelle ha inviato un testo, a palazzo Chigi un altro, definitivo e più severo. Così è in- tervenuto Paolo Gentiloni che non ha ammesso il decreto in Cdm, ancora incagliato all’ufficio legislativo e, di fatto, ritornato al mittente.
Cosa devi guardare lo decide il governo
Il ministro non è riuscito a compattare il centrosinistra, ma è riuscito laddove mediatori esperti avevano fallito: Sky Italia, Mediaset, Discovery, Rai, La7 si muovono in gruppo. Le televisioni hanno esaminato il decreto e presentato delle simulazioni per valutare gli impatti sul bilancio e sui palinsesti. Voce denaro: gli investimenti passano da 750 milioni di euro del
Effetti della legge Raiuno non potrebbe mandare in onda in prima serata un film americano Investimenti
I broadcaster devono spendere 500 milioni in più dal 2019 in poi Netflix & C. godono
2015 a 1,3 miliardi nel 2019, una follia per budget stanziati da mesi. Voce palinsesti: il 90 per cento delle quote – società indipendenti, europee e italiane – è riservato a contenuti narrativi, più cinema e fiction, meno intrattenimento. E di conseguenza, la guida ai programmi diventa Franceschini Tv: “Si tratta di u n’impostazione che non trova riscontro nella direttiva europea, che si risolve in una grave e ingiustificata restrizione dell’a ut o n om i a d’impresa ed editoriale”. Un referente di una grossa tv confida nel ruolo di Palazzo Chigi: “Ormai la materia è del governo, il testo di Fran- ceschini sarà quasi azzerato”.
Il ministro si fa assistere da Salvo Nastasi, ex direttore generale dello Spettacolo dal Vivo, nominato da Renzi vicesegretario di palazzo Chigi e commissario per la bonifica di Bagnoli. E qualcuno si lamenta: “È in conflitto di interessi, la suocera è Matilde Bernabei di Lux Vide”. Altri esultano: “Franceschini è stato messo sotto tutela”. Tra veleni e sospetti, lo schiaffone di Franceschini alle televisioni sarà una carezza. Non ne patiranno le televisioni, non se ne gioverà il cinema italiano.