IL MULINO BIANCO AL POTERE: LIBRO DI UN MINISTRO IN CRISI CREATIVA
Racconti osannati dai giornaloni: “Tracce di Fellini, anzi di Roth!”
Pensavamo
di poter rimandare la lettura del nuovo capolavoro letterario di Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle attività culturali a insaputa degli stessi, a quella fase della vita in cui si sono già terminati Dostoevskij, Stendhal, Thomas Mann. Ma l’altro giorno il Corriere l’ha recensito tanto entusiasticamente (“tracce felliniane”, “atmosfera alla Olmi”,“echi di Fellini” e persino di Joseph Roth) che abbiamo deciso di non aspettare un minuto di più e in un pomeriggio lo abbiamo divorato. Che dire: Disadorna e altre storie (La nave di Teseo), contrariamente a quanto il titolo farebbe pensare, non è un reportage sulle fe- ste dell’Unità ma una raccolta di racconti, anzi di abbozzi di racconti in cui sono condensati tutti i temi cari allo scrittore Franceschini. Uno scrittore in crisi creativa, la pianura padana, Ferrara, la guerra, la felicità delle piccole cose.
Franceschini scrive in italiano corretto, caratteristica non comune tra i politici ma anche tra gli scrittori viventi. Non usa i libri per propagandare fandonie elettorali, come fa Renzi. Vuole proprio essere uno scrittore. Il che in un certo senso può essere considerato un’aggravante. La biografia è trasfigurata in “spostamenti” che, dio ci perdoni, gaddiani. Un anziano torna nella Ferrara della sua infanzia; un ex ministro di Ferrara di nome Dario torna a Ferrara malato di Alzheimer, e così via. A Roberto Vecchioni Franceschini ricorda “Achille Campanile, Jonathan Coe e Anton Cechov”, non si sa se insieme o separati. A noi più l’imitazione perfetta dell’intellettuale di sinistra deluso dal popolo, con tutti i cliché del caso: nostalgismo, provincialismo (o provinciofilia), una spruzzata di Resistenza (la mamma che cuce per il figlio la bandiera del Cln), finali da Oceano mare (“Pensò... al fatto che così, senza mare, Creta non era più un’isola, cazzo”).
PIÙ BRAVO di Veltroni ma, possiamo dirlo con contezza, meno di Joseph Roth, Franceschini non lascia che l’attualità getti la sua luce volgare sull’opera, non sia mai, se non delicatamente: i personaggi si chiamano Armistizio Vitafin- zi, Malagù, Argante; i profughi siriani dormono per strada all’Esquilino ma hanno con sé una valigia piena di libri (“in tutte le lingue più antiche del mond o”!). Scampoli di racconti, dicevamo, tutti senza titolo. Una cosa che avrebbe potuto fare Baricco (magari l’ha già fatta e ci sfugge) e che verrebbe rifiutata da ogni editor se a presentarla fosse uno sconosciuto. Se questa forma di racconto interruptus non basta a farvi stramazzare dalla poesia, sappiate che in uno dei diciamo racconti un presidente di Corte muore mentre legge un discorso ma resta dritto in piedi perché un ragno gli ha
Conflitto e interesse Chissà se il libro avrebbe mai avuto un editore se l’autore non fosse ministro
tessuto una tela intorno (mah). Capace che tutto questo abbozzare sia una citazione del non-finito michelangiolesco e noi siamo troppo insensibili per capirlo; sicuro in Francia piacerà molto, dato che, come denuncia il Corriere, lì Franceschini non è vittima di un “pregiudizio inquinato dai veleni del Palazzo e del Potere”. Giuriamo di aver letto l’opera sine
ira ac studio (che c’entra, pure André Malraux era ministro, ma ha scritto La condizione u
mana, non Disadorna). Certo è che i libri di Franceschini sono migliori delle leggi di Franceschini. La riforma che porta il suo nome prevede la valorizzazione - a colpi di prestiti, mostre faraoniche, svendite e
marketing contundente - dei musei macina-soldi e una concomitante umiliazione delle Soprintendenze, che finora hanno impedito gli scempi e vigilato sul dettato costituzionale che impone alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. (Dal dimenticabile Stil novo di Renzi: “Soprintendente è la parola più brutta del vocabolario”). Chissà se Disadorna avrebbe mai visto la luce, con questi chiari di luna dell’editoria, se l’autore non fosse stato il potente ministro; comunque non è finito nella “Biblioteca degli inediti” che al ministro di Very
bello, sito dedicato al turismo italiano, venne l’uzzolo di realizzare.
All’ultima pagina, insaziati dalla sfilza innocua di storielle da Mulino Bianco, pare di ravvisare il fondamentale conflitto d’interessi tra il Franceschini ministro e il Franceschini scrittore: non tanto il riuscire a farsi pubblicare una sequela di scenette quando migliaia di sconosciuti non riescono a piazzare più pregevoli opere; quanto il fatto politico, in senso nobile, di una scissione insanabile. La letteratura è sempre eversione, contrarietà al potere e immaginazione del limite. A Franceschini il mondo va bene così com’è, e anzi col suo partito e col governo di cui fa parte contribuisce a peggiorarlo, e coi suoi libri di certo non lo migliora.