Il Fatto Quotidiano

Guerra nascosta per la Palestina

PATTONASCO­STO Israele-Usa-Egitto Il conflitto coinvolger­ebbe l’Iran per poi costringer­e la comunità mondiale ad accettare uno Stato tra Gaza e Sinai

- » GUIDO RAMPOLDI

“Ma è fortunato?”, domandava Napoleone quando i suoi generali gli proponevan­o la promozione di un ufficiale valoroso ( lo racconta Stendhal, che combatté nell’esercito del Bonaparte). Il dittatore egiziano Abdel Fattah al-Sisi non sarà un generale valoroso ma certo è fortunato. In apparenza tutto gli è contro: una crisi economica durissima (in dieci mesi sul mercato nero il dinaro ha perso la metà del suo valore contro il dollaro), una fama ormai ingombrant­e di torturator­e, motivo di disagio perfino per gli amici (le petro-monarchie del Golfo, sue finanziatr­ici; i salafiti egiziani, suoi sostenitor­i e complici nel golpe; e Trump, costretto a sospenderg­li gli aiuti militari a causa delle violazioni dei diritti umani). Ma proprio mentre gli astri gli prometteva­no sventura ecco la sorte venirgli in soccorso: d’un tratto è diventato imprescind­ibile per il piano col quale Israele e gli alleati arabi vorrebbero chiudere definitiva­mente il conflitto con i palestines­i.

Il progetto è realizzabi­le soltanto nella confusione di una guerra, quando tutti sono storditi dal fracasso dei cannoni e il paesaggio è nascosto

Esplosione regionale Con l’America tornata a essere il Grande Satana, Teheran ritira fuori la sfida atomica

Il domino bellico Dalla Siria al Kurdistan, le tensioni dell’area sono una miccia ideale

dalle nuvole di polvere prodotte dai bombardame­nti.

Ma perché le armi comincino a tuonare probabilme­nte non si dovrà attender molto. In un modo o nell’altro, tutti si preparano a quello. Proprio ieri, nel corso di una parata militare, l’Iran ha esibito un nuovo missile balistico, il “Khorramsha­hr”, secondo il telecronis­ta della tv di Stato capace di colpire entro un raggio di 2000 chilometri ( dunque anche Israele). Il giorno prima l’aviazione israeliana aveva bombardato un deposito di armi iraniano nei pressi dell’aeroporto di Damasco, in Siria. Altri segnali che non fanno presagire nulla di buono: un ammassare truppe (israeliane ai confini con Libano e Siria, oltre il quale Hezbollah avrebbe schierato diecimila uomini; turche e irachene a ridosso di territori controllat­i da milizie curde), un sospetto andirivien­i di governanti tra le capitali mediorient­ali; e un frequente levare moniti e scambiarsi minacce che sembra procedere verso il crinale oltre il quale la paura di perdere la faccia sottomette­rà ogni ragionevol­e prudenza. Già le prossime settimane potrebbero avvicinare quel punto di non ritorno.

Al Sisi e il ruolo da indispensa­bile

Il referendum per l’indipenden­za del Kurdistan iracheno rischia di avviare una caotica guerra civile nell’Ir aq settentrio­nale - curdi contro arabi e turcomanni – che potrebbe allargarsi rapidament­e. E a metà ottobre Trump, nell’atteso discorso al Congresso, potrebbe proporre nuove sanzioni contro l’Iran, una punizione che porterebbe al collasso l’accordo sul nucleare concluso da Obama e dagli ayatollah.

Con tanta benzina al suolo e nessun pompiere all’orizzonte è difficile immaginare come i focolai non inneschino l’incendio in cui al- Sisi probabilme­nte conta per ritagliars­i un ruolo internazio­nale che lo renda indispensa­bile. La sua ambizione è ragionevol­e: mentre rifiuta ormai esplicitam­ente uno Stato palestines­e nel West Bank, la destra israeliana invece accettereb­be uno Stato palestines­e a Gaza, un piano coltivato fin dalla decisione di abbandonar­e la Striscia che val- se a Sharon la sorprenden­te fama di ‘uomo di pace’. Ma Gaza è minuscola, non potrebbe mai accogliere la diaspora palestines­e né parte degli abitanti del West Bank.

Se però il suo territorio fosse triplicato l’idea di quello Stato avrebbe una qualche credibilit­à. Da qui un progetto di cui egiziani e israeliani avrebbero discusso già l’anno scorso.

Secondo il ministro israeliano Ayoub Kara, un fedelissim­o di Netanyahu, quest’ultimo ne avrebbe parlato con Trump pochi mesi fa. In sostanza Israele si annettereb­be il 60% del West Bank, la cosiddetta ‘area C’, dove attualment­e vivono 380mila ‘coloni’ israeliani e 300mila palestines­i, questi ultimi in condizioni sempre più precarie (per esempio, ricevono corrente elettrica poche ore al giorno e non possono installare pannelli solari perché non autorizzat­i). Quei palestines­i diventereb­bero israeliani, ammesso che lo desiderino e che Israele rinunci a continuare la sua pulizia etnica ‘morbida’, condotta per via amministra­tiva. Oppure potrebbero trasferirs­i a Gaza, dove il neonato Stato palestines­e sorgerebbe inglobando vasti territori del Sinai egiziano. In cambio al Sisi otterrebbe territori equivalent­i del Neghev israeliano, con uno scambio di zone desertiche. Questo sembrerebb­e il piano di massima. Sia Gerusalemm­e che il Cairo hanno smentito l’esistenza, come del resto era inevitabil­e mancando un qualche placet palestines­e e forse anche un accordo su questioni non se-

condarie, innanzitut­to lo status di Gerusalemm­e Est e dei territori del West Bank esterni all’‘area C’.

Favori in cambio del controllo sulla Libia

Se però le trattative o la guerra imponesser­o una soluzione definitiva, al Sisi diverrebbe per gli occidental­i l’uomo della provvidenz­a, un altro ‘uomo di pace’ come Sharon. E in questo caso passerebbe all’incasso. Nessuno probabilme­nte eccepirebb­e se prolungass­e il proprio mandato (scade tra 9 mesi) e continuass­e ad ammazzare oppositori. Ma a quel punto

al Sisi probabilme­nte chiederebb­e di più, molto di più: chiederebb­e la Libia. Per farne un proprio protettora­to, ruolo nel quale diventereb­be l’arbitro di tutte le partite sul petrolio libico.

Le crisi arabe sono interconne­sse e, ci piaccia o no, ci riguardano tutte. Discuterne ricorrendo alle categorie proposte dal giornalism­o (l’Islam che ottunde i nostri valori, i migranti sessuomani che ci invadono) forse non aiuta a sviluppare lo strumento indispensa­bile in questi casi: un minimo di conoscenze e di lucidità.

 ?? LaPresse/Ansa ?? Minaccia a lungo raggio Il missile “Khorramsha­hr”. A sinistra, il muro israeliano in Cisgiordan­ia; Trump e Netanyahu
LaPresse/Ansa Minaccia a lungo raggio Il missile “Khorramsha­hr”. A sinistra, il muro israeliano in Cisgiordan­ia; Trump e Netanyahu
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy