IL CONFINE TRA BANCA E UNIVERSITÀ
A Ferrara, come a Milano, il badge è una CartaFlash di Intesa San Paolo
Ma allora abbiamo una banca? Questa domanda non priva di echi mi è sorta spontanea l’altro giorno, quando entrando in Università ho trovato l’ingresso occupato da un banchetto del Crédit Agricole-Friuladria intento a pubblicizzare presso gli studenti i vantaggi di una carta di credito, “una carta che apre molte porte” come si leggeva nell’imponente cartellone: nei dépliant come nelle spiegazioni fornite dalle solerti impiegate dell’istituto bancario si illustrava alla giovane clientela che il Crédit offre agli studenti una vasta gamma di prodotti, da conti canone zero a polizze auto e moto, da mutui personalizzati fino a un vantaggioso fondo pensione. Il banchetto è rimasto lì un paio di giorni dalla mattina alla sera, poi è migrato verso altre sedi dell’Ateneo.
Non si tratta di una semplice operazione pubblicitaria, peraltro quanto meno irrituale in un ufficio pubblico preposto all’istruzione. Il punto è che chiunque si iscriva oggi alla mia università non viene più dotato di un libretto personale (come accadeva un tempo) o di un badge per entrare in biblioteca, di una tessera per la mensa o per le fotocopie, bensì riceve direttamente un’unica carta prepagata (dal nome di CartaConto) che copre tutte le funzioni appena citate, e che lo studente è tenuto ad attivare anche per i servizi bancari nel caso abbia diritto a borse di studio, nel caso chieda riduzioni o rimborsi delle tasse universitarie, o nel caso svolga attività di collaborazione re- tribuita per l'Ateneo (le “150 ore”). Ora, che le am m i n i s t r azioni pubbliche si servano di una banca di riferimento per i servizi di cassa, è cosa ovvia e naturale. Nel caso dell’università, si interagisce con giovani che spesso non hanno ancora aperto un conto corrente autonomo, o ne hanno uno di modestissima entità: è evidente che nel momento in cui l’Ateneo spedisce a casa di tutti gli studenti la carta di una banca, e per di più tramite appositi stands pubblicizza i vantaggi di quella stessa banca anche in termini di mutui, polizze e fondi pensione, si crea in modo del tutto innaturale un forte incentivo per i giovani discenti ad aprire un nuovo conto corrente proprio presso tale istituto.
Facciamo dunque astrazione dal caso di Venezia, dove è senz'altro un caso che la presidente della banca aggiudicatrice dei servizi di cassa di Ca’ Foscari, ovvero il sullodato Crédit Agricole- Friuladria, sia anche un'ordinaria di spicco dello stesso ateneo che li ha regolarmente banditi.
Da quest’anno il badge studentesco dell’università di Ferrara diventa una CartaFlash di Intesa San Paolo (è già così per la Carta La Statale di Milano), mentre da tempo la StudentCard dell’Università di Parma è attivata dalla Banca Popolare di Sondrio, la Carta Iuav di Venezia e la Carta ESU dell’Università di Verona dal Banco Popolare, la Carta Studenti dell’Aquila da Bper Banca, la Cartapiù dell’Università di Pisa dalla Banca di Pisa e Fornacette, e così via. Ma questa prassi non vale dappertutto: per esempio le carte studenti delle Univer- sità di Trieste, Torino, Bologna, Firenze, Roma La Sapienza, Napoli non sono legate a un istituto bancario, né tali atenei prevedono l’obbligo di una carta prepagata. A Perugia, lo studente è libero di scegliere, nel senso che per interagire con l’Ateneo (per borse, tasse e compensi) può usare il proprio Iban di partenza oppure optare per la Genius Card di Unicredit.
La questione che meriterebbe forse una riflessione riguarda il rapporto fra le (più o meno tangibili) semplificazioni burocratiche e agevolazioni agli studenti da un lato, e dall’altro la più o meno surrettizia induzione di cittadini iscritti a un istituto d’istruzione a divenire clienti di una banca piuttosto che di un'altra. Questo soprattutto in un’epoca e in un Paese in cui proprio la libera concorrenza bancaria appare un tema per molti versi delicato.