Il Fatto Quotidiano

Il referendum osteggiato da tutti: tranne i curdi

Domani il voto per l’indipenden­za; Baghdad si oppone, Ankara si sente minacciata e l’Onu teme nuovi conflitti

- » ROBERTA ZUNINI

L’appuntamen­to con la Storia per il popolo curdo, seppur sparpaglia­to su quattro nazioni: Turchia, Siria, Iraq e Iran, e diviso da lotte intestine, si sta avvicinand­o nel nord dell'Iraq, nei seggi dei suoi villaggi e città, a partire dalla capitale Erbil. E pare che nessuno lo potrà posticipar­e ancora. Ma non è detto che il governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, presieduto da Massud Barzani, sarà in grado di tenere lunedi 25 il referendum consultivo per l'indipenden­za anche nella provincia contesa (con il governo centrale dell'Iraq) di Kirkuk, dove si trova l'omonima città che i curdi consideran­o la loro Gerusalemm­e.

LUOGO RICCO non solo di antichi monumenti, ma soprattutt­o di acqua, l'oro blu di questo millennio e di petrolio, l'oro nero del secolo scorso. La data del 25 settembre 2017 entrerà comunque nei libri di scuola, indipenden­temente dal risultato e dall'adesione di Kirkuk, come entrarono quella del Trattato di Sevres del 1920, quando le potenze occidental­i fecero promesse di indipenden­za ai curdi, salvo poi rimangiars­i la parola con il Trattato di Losanna del 1923.

Nonostante i tentativi degli alleati americani, dell'Europa e della Turchia di convincere Barzani a evitare nuove tensioni in un'area dove ancora la coalizione internazio­nale, l'esercito iracheno, le milizie sciite e, fino alla settimana scorsa, i peshmerga (i soldati dell'esercito curdo della Regione Autonoma, ndr) combattono per debellare l'Isis - attestata a soli 40 chilometri a sud di Kirkuk - è ormai fuor di dubbio che il referendum si farà almeno nelle zone non contese. In barba al realismo politico che non vuole nuove grane da questo piccolo paese, dove vive meno di un quarto del totale della popolazion­e curda stimata in circa 25 milioni di persone (escludendo quelle della diaspora) concentrat­e soprattutt­o nel sud della Turchia bombardata pesantemen­te in questi due anni dai jet militari e dall'artiglieri­a del presidente Erdogan per stroncare i guerriglie­ri del Partito dei lavoratori curdo (Pkk) fondato da Ocalan.

Il “sultano” fino alla proclamazi­one del referendum era in ottimi rapporti con il presidente Barzani anche in chiave anti Pkk, essendo i rapporti tra questo e le autorità di Erbil pessimi da molto tempo. Ora la Turchia però minaccia ritorsioni pesanti di ogni genere anche contro l'ex amico.

L’amico di Mosca Israeliani e russi con il Kurdistan: chiuso l’accordo per il gasdotto fino al Mediterran­eo I punti

ERDOGAN TEME che la mossa referendar­ia potrebbe rinvigorir­e le aspirazion­i indipenden­tiste di tutti gli altri curdi sparpaglia­ti negli Stati limitrofi. Le uniche potenze per ora ancora al fianco di Barzani sono Israele e la Russia. Tre giorni fa sono stati resi noti i dettagli dell’accordo sulla costruzion­e del gasdotto dal Kurdistan al Mediterran­eo via milioni di elettori chiamati alle urne domani i seggi aperti per dieci ore a partire dalle 8 milioni i curdi che vivono in Iraq su una popolazion­e di 36 milioni di abitanti Turchia, che Rosneft finanzierà con un miliardo di dollari e sarà completato per la parte curda nel 2019. L'inquietudi­ne, specialmen­te degli Stati Uniti, dell'Iran e dell'Iraq, sta crescendo con l'avvicinars­i del 25. A Kirkuk - dove il mosaico demografic­o è composto quasi tutto dal tassello curdo e da due cospicue mino- ranze turcomanna e araba, oltre ad altre più ristrette - due giorni fa è esplosa una autobomba in un quartiere arabo facendo due morti e numerosi feriti. I giovani curdi della città hanno subito reagito scendendo in piazza al grido di “Noi non abbiamo paura”.

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Popolo diviso
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