Il referendum osteggiato da tutti: tranne i curdi
Domani il voto per l’indipendenza; Baghdad si oppone, Ankara si sente minacciata e l’Onu teme nuovi conflitti
L’appuntamento con la Storia per il popolo curdo, seppur sparpagliato su quattro nazioni: Turchia, Siria, Iraq e Iran, e diviso da lotte intestine, si sta avvicinando nel nord dell'Iraq, nei seggi dei suoi villaggi e città, a partire dalla capitale Erbil. E pare che nessuno lo potrà posticipare ancora. Ma non è detto che il governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, presieduto da Massud Barzani, sarà in grado di tenere lunedi 25 il referendum consultivo per l'indipendenza anche nella provincia contesa (con il governo centrale dell'Iraq) di Kirkuk, dove si trova l'omonima città che i curdi considerano la loro Gerusalemme.
LUOGO RICCO non solo di antichi monumenti, ma soprattutto di acqua, l'oro blu di questo millennio e di petrolio, l'oro nero del secolo scorso. La data del 25 settembre 2017 entrerà comunque nei libri di scuola, indipendentemente dal risultato e dall'adesione di Kirkuk, come entrarono quella del Trattato di Sevres del 1920, quando le potenze occidentali fecero promesse di indipendenza ai curdi, salvo poi rimangiarsi la parola con il Trattato di Losanna del 1923.
Nonostante i tentativi degli alleati americani, dell'Europa e della Turchia di convincere Barzani a evitare nuove tensioni in un'area dove ancora la coalizione internazionale, l'esercito iracheno, le milizie sciite e, fino alla settimana scorsa, i peshmerga (i soldati dell'esercito curdo della Regione Autonoma, ndr) combattono per debellare l'Isis - attestata a soli 40 chilometri a sud di Kirkuk - è ormai fuor di dubbio che il referendum si farà almeno nelle zone non contese. In barba al realismo politico che non vuole nuove grane da questo piccolo paese, dove vive meno di un quarto del totale della popolazione curda stimata in circa 25 milioni di persone (escludendo quelle della diaspora) concentrate soprattutto nel sud della Turchia bombardata pesantemente in questi due anni dai jet militari e dall'artiglieria del presidente Erdogan per stroncare i guerriglieri del Partito dei lavoratori curdo (Pkk) fondato da Ocalan.
Il “sultano” fino alla proclamazione del referendum era in ottimi rapporti con il presidente Barzani anche in chiave anti Pkk, essendo i rapporti tra questo e le autorità di Erbil pessimi da molto tempo. Ora la Turchia però minaccia ritorsioni pesanti di ogni genere anche contro l'ex amico.
L’amico di Mosca Israeliani e russi con il Kurdistan: chiuso l’accordo per il gasdotto fino al Mediterraneo I punti
ERDOGAN TEME che la mossa referendaria potrebbe rinvigorire le aspirazioni indipendentiste di tutti gli altri curdi sparpagliati negli Stati limitrofi. Le uniche potenze per ora ancora al fianco di Barzani sono Israele e la Russia. Tre giorni fa sono stati resi noti i dettagli dell’accordo sulla costruzione del gasdotto dal Kurdistan al Mediterraneo via milioni di elettori chiamati alle urne domani i seggi aperti per dieci ore a partire dalle 8 milioni i curdi che vivono in Iraq su una popolazione di 36 milioni di abitanti Turchia, che Rosneft finanzierà con un miliardo di dollari e sarà completato per la parte curda nel 2019. L'inquietudine, specialmente degli Stati Uniti, dell'Iran e dell'Iraq, sta crescendo con l'avvicinarsi del 25. A Kirkuk - dove il mosaico demografico è composto quasi tutto dal tassello curdo e da due cospicue mino- ranze turcomanna e araba, oltre ad altre più ristrette - due giorni fa è esplosa una autobomba in un quartiere arabo facendo due morti e numerosi feriti. I giovani curdi della città hanno subito reagito scendendo in piazza al grido di “Noi non abbiamo paura”.