Il Fatto Quotidiano

Al cronista scomodo non resta che l’esilio

Turchia, Libia: basta un tweet per finire nel mirino dei governi

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Il

volto sorridente di Giulio Regeni dipinto sulla tenda dell’ingresso; nell’atrio la piccola jeep di plastica verde dove la camorra sorprese Giangarlo Siani: siamo al Palazzo delle Arti di Napoli, sede in questi giorni di “Imbavaglia­ti”, il Festival Internazio­nale di Giornalism­o Civile che da tre anni dà voce ai giornalist­i perseguita­ti nei loro paesi. Qualche numero: 74 assassinat­i e 348 in carcere o rapiti nel solo

2016, a migliaia picchiati, feriti, licenziati. Poi ci sono quelli in fuga come il turco Fehim Tastekin e il venezuelan­o Tulio Hernandez.

“Tutto parte con la pacifica rivolta ecologista di Gezi Park del 2013 - dice Tastekin - Erdogan sfrutta l’occasione per demonizzar­e tutti gli oppositori. Dopo l’uccisione nel lu- glio 2015 di due poliziotti a Ceylampina­r da parte dell’Isis, inglobata la destra nazionalis­ta, Erdogan si lancia in una offensiva contro i curdi. Dopo il tentato di colpo di stato del 2016, dichiara lo stato di emergenza, chiude 180 organi di stampa e lascia 10 mila lavoratori senza lavoro; quindi altri 2700 giornalist­i licenziati su pressione del governo, 800 tesserini ritirati e beni confiscati a 54 giornalist­i, mentre 130 di loro finiscono anche dietro le sbarre”. Conclude Tastekin: “Non posso tornare per via di un mio libro sui curdi e ora lavoro da Beirut”.

“Dal racconto di Tastekin - afferma Hernandez - direi che Maduro ed Erdogan sono fratelli, ma non gemelli. Più che un fascismo alla turca infatti, quello che monta oggi in Venezuela è una sorta di neo- autoritari­smo. In una dittatura vecchio stampo la censura è sempre preventiva, invece da noi non ci sono così tanti detenuti politici, né troppo carcere per i giornalist­i, perché col neo-autoritari­smo la censura è molto più sottile. Si maschera dietro a una parvenza di democrazia”.

“IN VENEZUELA - racconta - il governo possiede due television­i nazionali, 300 emittenti locali, circa 40 radio e tutti i giornali locali distribuit­i gratuitame­nte. In quanto ai media privati, sono stati comprati quasi tutti da personaggi vicini al governo. Dei quattro grandi quotidiani nazionali ce n’è uno, El National, che è ancora indipenden­te, ma il direttore e la redazione sono in esilio. Me compreso. Abbiamo anche due tv indipenden­ti, ma non si occupano mai di politica. Né della gente, che per comprare il pane o il caffè si fa pure cinque, sei ore di fila e che muore per mancanza di medicine. Sono 30.000 i venezuelan­i che ogni giorno passano il confine con la Colombia per comprare beni di prima necessità. Perfino gli assorbenti”.

Prosegue il giornalist­a ve- nezuelano: “Esiste anche una forma di autocensur­a codificata per descrivere la realtà, una specie di neolingua, come in Orwell. Se un giornalist­a la vìola viene cacciato. Se poi insiste, magari sul web, allora arrivano i collettivo­s, squadracce al soldo del governo e gli bruciano l’auto o l’accoltella­no. Casi estremi, ma comunque 284 attacchi negli ultimi tre mesi. Il vero lavaggio del cervello però, il governo lo fa con intrusioni quotidiane di El Presidente nei normali programmi tv”. Hernandez sorride e scuote il capo: “Il momen- to clou di una tenelovela? Una madre per esempio, sta finalmente rivelando al figlio la vera identità di suo padre... zap! Il programma si interrompe e sullo schermo appare il faccione di Maduro”.

“In quanto a me - conclude Hernandez - quando il presidente ha dichiarato a reti unificate che i miei tweet incitavano al golpe, mi sono rasato a zero e sono fuggito in Colombia e di lì a Madrid. Ora la mia missione principale è spiegare in Europa che Maduro non è di sinistra”.

A imbavaglia­re i giornalist­i non sono solo i regimi autoritari: “La scelta dell’Italia di pagare le milizie per bloccare il flusso di profughi e migranti dall’Africa è un tragico errore” afferma il libico Salah Zater, attivista per i diritti umani passato al giornalism­o durante la guerra civile; Salah è fuggito in Germania in seguito alle aggression­i subite: “Con i soldi italiani le milizie comprerann­o più armi e se non riceverann­o più denaro useranno i profughi come arma di ricatto”.

Maduro dilaga Racconta Tulio Hernandez: “Stai guardando una telenovela: di punto in bianco c’è El Presidente”

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Il giornalist­a Tulio Hernandez accanto all’auto del cronista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra
Un simbolo Il giornalist­a Tulio Hernandez accanto all’auto del cronista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra
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