Bresciani, il direttore (e pianista) capace di valorizzare l’intero Liszt
Milanese, 40 anni fa si è perfezionato a Napoli con il più grande maestro di pianoforte, Vincenzo Vitale
Fanno un anno e undici mesi che collaboro al Fatto. Mi si lascia scrivere con totale libertà di contenuto e argomenti; i miei articoli di tema musicale sono di numero inferiore a quelli che dedico ad altre mie passioni, la poesia latina, la storia romana, la narrativa. Ho parlato tuttavia di grandi musicisti. Non ancora di Vittorio Bresciani, pianista e direttore d’orchestra.
L’occasione mi viene da un concerto ch’egli ha tenuto per l’annuale simposio “Le Due Culture” all’istituto di ricerche genetiche “Biogem” di Ariano Irpino. Ho fatto da tramite fra lui e il presidente del “Biogem”, Ortensio Zecchino, così come lo feci l’anno scorso con Nazzareno Carusi. Nazzareno suonò l’a nn o scorso alla presenza del premio Nobel Takaaki Kaijita, Vittorio a quella del Nobel Kurt Wühtrich, estasiato. Coloro che hanno assistito ai due concerti dicevano di non sapere quale dei due fosse stato più bello; il mio problema è trovare chi possa sostenere il confronto a settembre 2018, e sarà difficile risolverlo. Di amici del cuore non ne ho molti, e meno ancora musicisti di tale sfera.
POCO MENO di quarant’anni fa Bresciani, milanese, veniva a Napoli per perfezionarsi col più grande dei maestri di pianoforte e di musica, Vincenzo Vitale. Della sua scuola io sono l’ultima ruota. Vitale è stato un sommo lisztiano, in un’epoca nella quale questo titano della composizione, ma anche quest’ uomo di cultura fra i più grandi dell’Ottocento, era avvolto da diffidenza: per il dandysmo della vita privata, per l’esser stato il virtuoso pianistico al quale si deve la nascita del concerto solistico. Vittorio è, di tutti i seguaci del Maestro (apostoli lisztiani quali Michele Campanella, Francesco Nicolosi, Francesco Caramiello) quello che più si è dedicato a mostrare la grandezza di un compositore alla comprensione del quale la novità e arditezza di concezione formale, insieme con un impianto – i cretini non se ne accorgono: io lo sono stato a lungo – profondamente classico, fanno da ostacolo. “Vittorio è un intellettuale”, mi diceva il Maestro, “ma è un talento pianistico e musicale!”. E voglio solo raccontare di un meraviglioso concerto a Catania nel quale Bresciani, dedicatolo al tema poetico di Paolo e Francesca, ha diretto la “Fantasia Sinfonica” Francesca da Rimini di Ciaikovskij e la Sinfonia Dante di Liszt: con una sicurezza e un’arte da disgradare la gran parte dei suoi attuali colleghi.
AD ARIANO ha suonato. Tre Parafrasi di Liszt da Verdi: Aida, Trovatore, Rigoletto. Già pezzi da uccidere un toro. Per il bimillenario ovidiano, ha aggiunto la Seconda Ballata, ispirata al mito di Ero e Leandro: facendo precedere l’esecuzione da una dotta esegesi del rapporto fra la poesia di Ovidio e la trasposizione sintetica fattane da Franz, poeta del simbolo musicale come il suo ispiratore di Sulmona è poeta mitico e del simbolo della parola in metro. Poi ha eseguito due pezzi di uno straordinario seguace russo di Liszt, Sergej Ljapunov (1859-1924). Infine, una sorpresa: il tema del simposio di quest’anno era “Il cibo”: egli ha offerto una propria Parafrasi del Panis angelicus di César Franck, mostrandosi compositore di vaglia e fantasia: e così, fra genetisti e chimici, ha aggiunto da umanista il soggetto del cibo spirituale. Il pianista ha oggi pochi confronti per autorità tecnica e musicale, e per la capacità d’inserire Liszt in una salda cornice formale invece che spezzettarlo rapsodicamente, come fanno quasi tutti. E temo tale geniale disposizione non sia per nuocere a Vittorio, in un mondo che vuol solo essere ingannato. www.paoloisotta.it