Criticato sui migranti, don Prodi lascia la chiesa
Il nipote dell’ex premier: “Queste polemiche hanno fatto male alla comunità”
“Non
a tutti è piaciuta o piace la mia vita”. Don Matteo si dimette da parroco. Ma qui non siamo in un telefilm, questa è la vita reale di un sacerdote: don Matteo Prodi, sacerdote bolognese e nipote dell’ex premier
(è figlio di Vittorio che è stato presidente della Provincia di Bologna). Un prete giovane, controcorrente. “Uno che parla e testimonia, ha scelto di prendersi in canonica dei p ro f ug h i”, racconta un fedele.
MA ALLA FINE don Matteo si è scontrato con una parte dei suoi parrocchiani sul tema che divide la nostra società e anche i credenti: i migranti.
Siamo a Ponte Ronca, strade lunghe di pianura, palazzi moderni di mattoni. Una popolazione che raccoglie ceti diversi. Don Matteo è parroco da dodici anni nella chiesa di Santa Maria. A pochi passi c’è Bologna, la città rossa, solidale. Quando il sacerdote dall’altare parla di migranti qualcuno mormora. Quando in parrocchia arrivano i primi profughi il dissenso diventa sempre più duro. Matteo ci soffre, fino alla messa di domenica scorsa. Dopo la benedizione arriva l’annuncio: “A qualcuno non piace la mia vita. A nessuno, però, è lecito portare in pubbliche piazze valutazioni negative su di me, che hanno fatto male a me… ma soprattutto alla comunità”. Così il parroco si congeda: “Domani porterò al Vescovo la lettera di rinuncia/dimissioni alla parrocchia… Non sono una persona che coltiva rancori o cerca vendette. Mi chiedo solo perché e a che cosa è servito. Gesù schiaffeggiato nel processo chiede: perché?”. Una lettera che rivela passione, ma anche amarezza. E la solitudine di un sacerdote: “Nell’ultimo anno ho sperimentato grandissime difficoltà... Spero che abbiate recepito anche l’amore che ho desiderato lasciarvi: un amore che risente delle mie caratteristiche positive e anche dei miei limiti. Vi ha amati Matteo, non un prete”.
Il parroco già in passato era stato criti- cato per quel suo parlare schietto. Di fronte alle polemiche sulle benedizioni nelle scuole, aveva detto: “Il bene si suscita con un po’di amore donato a qualcuno, vincendo quello che è il male della nostra società, cioè l’in d i ff erenza. Invece che qualche goccia d’a cqua perché negli uffici e nelle scuole non portiamo qualche ovetto suggerendo di portarlo a qualcuno cui nessuno lo donerebbe mai?”. Gli ambienti vicini alla chiesa più conservatrice insorsero: quel prete dice che è meglio un ovetto di una benedizione! Certo ha pesato anche il cognome. Nella tribù dei Prodi ci sono altri sacerdoti. Spesso scomodi e legati alla chiesa sociale. Come don Sergio – nipote di Romano, perché figlio del fratello Giovanni – che difese i piccoli rom di Pisa: “Non si può far finta che i bambini non esistano”.
MA LE DIMISSIONI di don Matteo hanno colpito il mondo cattolico di Bologna. Proprio quella curia dove è arrivato Matteo Maria Zuppi, vescovo voluto da Francesco per testimoniare la nuova chiesa vicina ai poveri. “Colpisce – allarga le braccia un sacerdote amico di Matteo – che posi- zioni a favore dei migranti incontrino tanti ostacoli tra i cattolici perfino con un vescovo così vicino agli ultimi. E a Bologna, con la sua cultura di solidarietà. Forse stiamo cambiando, ma proprio per questo non dobbiamo mollare”.
Le critiche
Il caso divide il mondo cattolico bolognese: “Forse stiamo cambiando, ma non molliamo”