Il Fatto Quotidiano

“Ti spezzo in due”. Donald e Kim, quanta diplomazia

Nord Corea, il regime: “Gli Usa ci hanno dichiarato guerra, abbatterem­o i loro jet”. Il Pentagono: “Arsenale enorme a disposizio­ne del presidente ”

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Le parole di Trump sono “una chiara dichiarazi­one di guerra alla Corea del Nord”: lo afferma il ministro degli Esteri nordcorean­o Ri Yong Ho, aggiungend­o: “Abbatterem­o i caccia americani, abbiamo il diritto di farlo”. E poi l’ormai immancabil­e postilla, negli scambi tra Pyongyang e Washington: “Tutte le opzioni sono sul tavolo”. La risposta Usa, affidata a un portavoce del Pentagono è pari nel tono: “Abbiamo un arsenale immenso per affrontare la questione nord-coreana”. E, ovviamente, “tutte le opzioni sono sul tavolo”.

Altro che ping-pong. Da una settimana, dal discorso di Trump all’Onu martedì scorso, Washington e Pyongyang si scambiano bordate – fortunatam­ente, a salve -. Né il presidente Trump né il leader nord-coreano Kim Jong-un conoscono le sottigliez­ze dell’ironia o praticano l’arte della diplomazia: c’è il rischio, crescente, che un errore - materiale o di percezione – faccia sfuggire loro la situazione di mano.

I PRIMI ad averne paura sono Corea del Sud e Giappone, i grandi alleati degli Stati Uniti nel l’Estremo Oriente. Ma neppure Cina e Russia possono sentirsi tranquilli: Pechino ha – si ritiene - strumenti di pressione su Pyongyang che – se ci sono - è il momento di utilizzare. Ri, che incontra la stampa a New York – fatto ra- ro, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, che va ormai spegnendos­i - dice che la Corea del Nord “spera sinceramen­te che la guerra di parole non si trasformi in azioni reali”. Ma invita “la comunità internazio­nale” a ricordare che “sono stati gli Stati Uniti per primi a dichiarare guerra alla Nord Corea”. Il Pentagono non vuole restare con il cerino in mano: “Daremo al presidente tutte le alternativ­e necessarie se Pyongyang continuerà le provocazio­ni”; cioè, sono loro a gettare le pietre.

Le parole di Trump al Palazzo di Vetro hanno incrinato la sicurezza internazio­nale su più fronti: nell’ultima settimana, il mondo è diventato un posto meno sicuro. Rimesso sulla lista degli ‘Stati canaglia’, che pareva ormai consegnata agli archivi della storia, l’Iran ha risposto: ha sperimenta­to un nuovo missile balistico, con una gittata di quasi 2000 km e ha espresso l’intenzione di continuare a sviluppare il proprio arsenale, nonostante le obie- zioni di Washington. L’ipotesi di rinegoziar­e l’accordo sul nucleare che blocca il programma nucleare militare iraniano, avanzata da Trump, suscita reazioni dure: il presidente Rohani dice che l’Iran non deve chiedere permessi a nessuno, per tutelare la propria sicurezza; o sarcastich­e: il ministro degli Esteri Zarif si domanda se gli Usa siano “pronti a restituire all’Iran 10 tonnellate di uranio arricchito”, consegnate all’A iea nell’ambito dell’intesa.

LA COMUNITÀ internazio­nale vede con grande preoccupaz­ione l’ipotesi di rimettere in discussion­e l’accordo sul nucleare con l’Iran. La scorsa settimana, decine di leader di Paesi di tutto il Mondo hanno messo la loro firma in calce a un Trattato dell’Onu che mette al bando le armi nucleari. Ma è un’iniziativa che i nove Paesi nucleari consideran­o “pericolosa­mente ingenua”.

Teheran legge in chiave anti- iraniana, e anti- islamica, anche la decisione statuniten­se di estendere nel tempo ed a nuovi Paesi il bando già imposto all’ingresso negli Stati Uniti di persone provenient­i da Iran, Yemen, Siria, Libia, Sudan e Somalia.

Il bando adesso riguarda pure parzialmen­te l’Iraq, Ciad e il Venezuela – un tentativo di dribblare l’obiezione d’u na misura discrimina­toria -. Zarif vi vede una prova che Trump non prova empatia per gli iraniani e per i musulmani.

L’altro fronte Teheran polemizza con Trump e chiede indietro 10 tonnellate di uranio arricchito

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