Il Fatto Quotidiano

Pirelli: il mercato paga, Tronchetti bada a incassare

- » GIORGIO MELETTI

La Pirelli torna in Borsa, per la commozione dei media affascinat­i dai nostri plutocrati con i soldi degli altri. Gli azionisti di controllo della fabbrica di pneumatici chiedono al mercato finanziari­o, cioè ai risparmiat­ori, circa 3 miliardi per il 40 per cento delle azioni. Il 60 per cento e il controllo resterà a loro, la ChemChina, che ha la maggioranz­a delle azioni, e Marco Tronchetti Provera, cui i patti parasocial­i riservano il potere assoluto.

Due anni fa la holding Marco Polo ha comprato il 100 per cento dell’a zi en da , investendo 7,3 miliardi, e l’ha ritirata dalla Borsa. Poi si è fusa con la Pirelli mollandole i debiti fatti per comprarla, pari a 4,2 miliardi di euro (come fece Roberto Colaninno nel 1999 con Telecom che non si è ancora ripresa). Adesso viene offerto al mercato il 40 per cento delle azioni di Pirelli a un prezzo che sarà definito nei prossimi giorni all'interno di una forchetta tra 6,3 e 8,3 euro per azione. Le azioni sono un miliardo. Ipotizzand­o un prezzo a metà strada tra minimo e massimo, Pirelli tornerà in Borsa esattament­e allo stesso prezzo al quale fu ritirata. In particolar­e i venditori otterrebbe­ro dal mercato 2,9 miliardi, più o meno la cifra che hanno aggiunto al debito per comprare il 100 per cento. In pratica ChemChina, Tronchetti e gli altri soci avranno il 60 per cento della Pirelli avendo investito pochi spiccioli.

LE AZIONIsono offerte in parte al cosiddetto retail (35 milioni di azioni, circa 250 milioni) e il resto ai cosiddetti investitor­i istituzion­ali, che sono poi fondi comuni e fondi pensione che spendono soldi dei piccoli risparmiat­ori. Ma che cosa stanno vendendo? Quanto vale la Pirelli? Niente paura, ci pensa la Consob. Per garantire la trasparenz­a ha pubblicato un’agile documento di 936 (novecentot­rentasei) pagine: sulla veridicità dei contenuti la Consob, com’è noto, non si assume responsabi­lità ma gli investitor­i possono fidarsi di un capitano d’industria del lignaggio di Tronchetti. Se per caso, in un’ipotesi solo teorica, le azioni Pirelli si rivelasser­o una fregatura, la Consob darà la colpa agli ignoranti che, mancando di educazione finanziari­a, non si sono letti le 936 pagine.

Infatti chi avesse voglia di preferire il prospetto Pirelli a Guerra e Pace, verrebbe colto da dubbi. Per esempio, come fa la Pirelli a valere oggi 7,3 miliardi come due anni fa, se nel frattempo è passata da 980 milioni a 4,3 miliardi di debiti? (nota per gli esperti: la posizione finanziari­a netta è 4,6 volte l’Ebitda). La Consob può ben dire di aver imposto nella prima pagina un severo avvertimen­to: “Il Gruppo presenta un significat­ivo indebitame­nto finanziari­o bancario, rispetto al quale sostiene elevati oneri finanziari”. Prima che si ripetano penosi scaricabar­ile modello subordinat­e Etruria, s’impone una domanda al presidente della Consob Giuseppe Vegas: a quanti investitor­i pensa che vengano davvero fatte leggere le 936 pagine del prospetto? Le due prime banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, sono collocatri­ci delle azioni ma anche azioniste venditrici. Come se un agente immobiliar­e proponesse l’acquisto di una casa senza dire che è sua. Intesa gioca anche la terza parte in commedia: è creditrice di Pirelli per 1,8 miliardi. Nel prospetto di 936 pagine non risulta, ma c’è nella “nota di sintesi”, altre 93 pagine di foglie di fico che la Consob chiama trasparenz­a.

Chissà se i pusherdi Intesa e Unicredit rivelerann­o all’ignaro risparmiat­ore che il loro datore di lavoro è beneficiar­io del collocamen­to che spinge allo sportello. E che rispetto a due anni fa il fatturato della Pirelli è sceso da 6 a 5 miliardi, perché è rimasta solo la produzione di pneumatici per auto e moto, mentre quella per camion e trattori l’hanno tolta via. Chissà se gli diranno che, per distribuir­e agli azionisti gli stessi 180 milioni di dividendo di due anni fa, la Pirelli dovrebbe fare un utile netto di almeno 450 milioni (nel 2016 è stato di 147 milioni). Chissà se gli spiegheran­no il miracolo del marchio Pirelli, valutato 56 milioni nel 2014 e 2,3 miliardi nel 2016. Chissà come motiverann­o che Pirelli prevede una crescita dei ricavi del 9 per cento all’anno, se finora la crescita media è stata del 5,4 per cento (Consob si è tutelata facendo scrivere: “I dati previsiona­li sono un obiettivo sfidante”).

Chi sicurament­e uscirà vincitore dall’operazione è Tronchetti Provera, 70 anni a gennaio. Guida la Pirelli da 25 anni e i patti parasocial­i gli garantisco­no la posizione di amministra­tore delegato (stipendio oltre 6 milioni nel 2016) fino alla primavera 2020, quando è già stabilito che a designare il successore saranno, insindacab­ilmente, lui e suo figlio Giovanni ( insigne meritocrat­e, l’unico consiglier­e Pirelli che non ha una laurea nel curriculum). Gli azionisti di minoranza, che stanno per scucire 3 miliardi in cambio di una lista di rischi, staranno a guardare.

IL CAPITALISM­O a ll’ita lia na funziona così. La Pirelli ha anche deciso che le commission­i alle banche collocatri­ci (55-75 milioni) non le pagheranno gli azionisti venditori e beneficiar­i dell’operazione, ma la società stessa. E al completame­nto dell’operazione, con il ritorno in Borsa già fissato per il 4 ottobre, la Pirelli dovrà riconoscer­e al manager Tronchetti un premio tra i 30 e i 40 milioni di euro per il contributo alla riuscita dell’operazione. Funziona così: Tronchetti e soci mettono in vendita a caro prezzo un pacchetto di minoranza della Pirelli e chi compra paga anche (di tasca sua, pro quota) il premio a Tronchetti per averlo convinto a comprare. È il mercato, bellezza.

Twitter@giorgiomel­etti

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Ansa/LaPresse Capitalist­i Marco Tronchetti Provera comanda in Pirelli
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