Renzusconi, contro Bollorè il conflitto d’interessi risorge
Politica e finanza non sono uno sport da educande. Dirlo chiaro ogni tanto senza raccontare bugie ai cittadini su fantomatiche leggi sul conflitto d’interessi da “approvare entro cento giorni” o sulla ferma volontà di modernizzare il Paese rottamando le vecchie classi dirigenti potrebbe quindi essere finalmente una buona cosa. A suggerircelo sono le cronache economiche di questi giorni. Giovanni Pons sul sito di Business Insider ci racconta come il francese Vincent Bollorè, impegnato da mesi in un’aggressiva partita sui fronti Mediaset e Telecom, si stia rendendo conto di aver sbagliato strategia. La sua idea di abbandonare la politica dei piccoli passi concordati con l’establishment, per aumentare il proprio peso nelle due società quotate e poi trattare da posizioni di forza con soci, concorrenti e partiti, gli sta creando mille grattacapi. Ha contro le autorità di controllo (l’Agcom e la Consob); ha contro in Telecom il segretario del Pd, Matteo Renzi, e ha contro nelle tv il leader di Forza Italia e proprietario di Mediaset, Silvio Berlusconi. Fare la voce grossa non gli è insomma convenuto. I due teorici avversari si sono ricompattati, scrive Pons, “fino al punto che Renzi e Berlusconi potrebbero trovare su Telecom e Mediaset un accordo politico ai danni di Bollorè”. Detto in altre parole lo scalpo del finanziere transalpino è in qualche modo destinato a essere al centro delle trattative per la formazione dopo le elezioni di un eventuale governo di larghe intese.
QUI NON CI VOGLIAMO soffermare sulla questione economica o di campanile. Ci sono di certo mille motivi per restituire pan per focaccia ai cugini francesi, se andasse male l’incontro bilaterale di oggi con Parigi sul destino di Finmeccanica nei cantieri Saint Nazaire. Visto che l’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, non vuole che gli italiani abbiano la maggioranza in Saint Nazaire, come era stato loro promesso, l’eventuale ritorsione di Palazzo Chigi su Bollorè potrebbe essere semplicemente considerata l’ovvia reazione di uno Stato sovrano. Quello che invece colpisce è come la questione degli interessi di Berlusconi dopo 25 anni venga ancora ritenuta dal centrosinistra come un’occasione per poter ottenere da lui contropartite sul piano parlamentare. Abbandonata ogni velleità di regolare con una buona legge l’agibilità politica di chi possiede anche i media (magari impedendo a chiunque di essere contemporaneamente proprietario di più canali tv) si torna al punto di partenza. Si spegne l’eco del Renzi che ai compagni rottamati giustamente chiedeva “ma perché quando avete governato non avete fatto una legge sul conflitto d’interessi?” e tornano invece vivide le immagini del capogruppo Ds alla Camera Luciano Violante che dice pubblicamente in aula a un collega del centrodestra: “La invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data garanzia piena, non adesso, ma nel 1994 quando ci fu il cambio di governo (da Berlusconi a Dini nel 1995, ndr) che non gli sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta”.
È come se oltre cinque lustri fossero passati invano. Si continua a non fare ciò che è giusto, ma solo ciò che al momento sembra convenire (a metà degli anni Novanta la questione centrale era riuscire a privatizzare Telecom senza troppe imboscate da parte del centrodestra).
Per questo ora ci sentiamo di dire: ok, da noi funziona così. Ma per favore, il prossimo Renzi di turno ci risparmi le prediche sulla vecchia politica. Dica invece che è uguale agli altri, così almeno ci togliamo il pensiero.