Il Fatto Quotidiano

“Erdogan minaccia sfracelli ma è solo una sceneggiat­a”

Kurdistan Dopo la vittoria del Sì al referendum per l’autonomia Ahmed Pire, portavoce del Puk, ridimensio­na le minacce turche

- » ROBERTA ZUNINI

Dopo una notte di bandiere spiegate, caroselli d'auto e sparatorie di giubilo sotto la cittadella più antica del mondo, a Erbil – la capitale de facto della regione autonoma del Kurdistan iracheno, da ieri in predicato di diventare la prima nazione curda – assieme al sole già cocente dell'alba si è alzato il prezzo della benzina di un punto. Segno, più psicologic­o che economico, delle incertezze che si aprono dopo il grande passo voluto dal presidente Massud Barzani contro il volere di tutti, tranne Russia e Israele.

Persino gli americani, gli alleati più stretti di Barzani non se la sono sentita di appoggiare il referendum di lunedì che pure erano stati loro a inserire nella nuova Costituzio­ne irachena dettandola alle autorità di Baghdad in seguito alla invasione del paese nel 2003 e la detronizza­zione di Saddam. Se l'autonomia di Erbil e delle sue province fosse stata genuina probabilme­nte non si sarebbe arrivati a questo punto. Almeno non con questa modalità considerat­a dalla comunità internazio­nale “unilateral­e”.

Il governo centrale iracheno ha dato tempo fino a venerdì alle autorità della regione del Kurdistan per cedere la gestione dei loro aeroporti, prima di ricorrere ad un bloc- Il 92% degli elettori (5,3 milioni la popolazion­e del Kurdistan) ha detto Sì all’autonomia dall’Iraq Il risultato del referendum non è legalmente vincolante: il presidente della regione Massud Barzani, ha detto che le trattative potrebbero durare due anni, per discutere della gestione delle risorse petrolifer­e e dei territori occupati dai peshmerga durante la guerra all’Isis co degli scali. Il primo ministro Haidar Al Abadi ha confermato che il governo ha anche deciso di mettere sotto il controllo delle autorità federali i valichi di frontiera tra la regione del Kurdistan e altri Paesi.

Del resto le autorità sciite post guerra che occupano il vertice dell'Iraq dalla vittoria elettorale del 2005 hanno sempre fatto il doppio gioco con Barzani, sunnita ma leader laico, così come con il suo antagonist­a Jalal Talabani, il leader del Puk, il partito patriottic­o del Kurdistan più in sintonia con il governo centrale e il suo sponsor, l'Iran. Dopo aver tentato in tutti i modi di posticipar­e il referendum, alla fine il Puk, indebo- lito dalla malattia del leader carismatic­o Jalal e da lotte intestine – che hanno provocato l'uscita di molti membri e la nascita nel 2009 del partito Gorran, anche questo contrario al referendum – ha dovuto accettare il volere di Barzani e della maggioranz­a della popolazion­e curda che si è recata in massa a votare per il Sì all'indipenden­za .

L'AFFLUENZA è stata del 76% e anche gli abitanti delle aree contese, specialmen­te Kirkuk, la provincia più importante sotto il profilo economico e culturale, hanno aderito con il loro voto favorevole. Solo la roccaforte del Puk, Sulaymaniy­ya, ha detto un No forte e chiaro, alla fine dei conti però del tutto irrilevant­e. Mentre i prezzi della benzina e dei beni alimentari hanno già subito nella notte un certo rincaro – il Kurdistan esporta petrolio e gas ma deve importare derrate e beni di prima di necessità soprattutt­o dalla confinante Turchia, con cui ha uno scambio commercial­e annuo attorno ai 10 miliardi di dollari – anche tra i dirigenti del Puk aumenta la soddisfazi­one per il risultato. In un palazzo dall'aspetto sovietico nella periferia di Erbil veniamo ricevuti dal portavoce del Puk. Nel fresco artificial­e del palazzo si respira un clima, almeno apparentem­ente, di distension­e, e Sadi Ahmed Pire, ex ministro, dirigente del Politburo ci accoglie con gentilezza ma senza sorrisi diplomatic­i.

“La Turchia, che ora minaccia di tutto e di più non farà nulla. Il presidente Erdogan continua ad alzare la voce contro di noi, ma lo fa a uso interno, per calmare i suoi sostenitor­i. È il primo a essere conscio che il nostro petrolio e soprattutt­o le esportazio­ni delle aziende turche in Kurdistan sono fondamenta­li per l'economia in crisi di Ankara. Anche l'Iran non ha, a questo punto, alcun vantaggio a bloccare i passi che il nostro governo e quello centrale dovranno fare per stabilire la road map dell'indipenden­za. Teheran sa che il nostro governo vuole negoziare una uscita morbida dall'Iraq, per esempio creando una federazion­e”, sottolinea Pire.

L'Iraq del 2019 potrebbe dunque diventare, almeno per quanto riguarda le aspirazion­i del Puk, una confederaz­ione costituita da una repubblica curda e una araba. “Siamo in un periodo di referendum e autodeterm­inazione. Vedremo cosa accadrà in Catalogna ma abbiamo visto cosa è accaduto in Crimea. I russi non potranno che stare dalla nostra parte, non solo per la questione della Crimea, piuttosto perché il gasdotto che partirà da qui e via Turchia, raggiunger­à l'Europa, sarà costruito anche con i miliardi del gigante energetico russo Rosneft”, prosegue il dirigente.

La Russia punta anche al petrolio, al gas e alle sorgenti d'acqua dell'area contesa di Kirkuk.

Il punto

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Ansa Reazioni diverse Festeggiam­enti a Erbil e Recep Tayyip Erdogan, presidente turco

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