Il Fatto Quotidiano

Maroni e Zaia, 40 milioni per il referendum inutile

I governator­i di Lombardia e Veneto chiamano al voto per una maggiore autonomia fiscale, ma basta il concordato. Come fa l’Emilia Romagna

- PIETROBELL­I E SANSA

I presidenti leghisti di Lombardia e Veneto puntano sulla consultazi­one. Il loro collega dell’Emilia Romagna li informa: “La riforma del Titolo V della Carta ci consente di trattare subito col governo”. Ma senza spot elettorale

La negoziazio­ne all’emiliana. O il referendum in salsa lombardo-veneta. Sul tavolo della politica italiana ci sono due ricette per l’autonomia regionale, una di centrosini­stra, l’altra di ispirazion­e leghista. Una cosa è certa: la consultazi­one che si terrà il 22 ottobre costerà almeno 40 milioni (25 in Lombardia – di cui 3 per la comunicazi­one – e 14 in Veneto) e rischia di essere inutile. Per dirla con le parole di Stefano Bonaccini, governator­e Pd dell’Emilia Romagna: “Il referendum di Veneto e Lombardia è legittimo. Ma il giorno dopo dovranno avviare l’identico nostro percorso, quello previsto dalla Costituzio­ne. Noi invece portiamo avanti un’operazione in grado di incidere sulla crescita del territorio e del sistema Paese, nell’ambito dell’unità nazionale e della solidariet­à tra regioni, per noi intoccabil­i”.

L’Emilia ha scelto la strada ‘light’, quella dell’autonomia concordata con il governo nazionale secondo la riforma del titolo V della Costituzio­ne varata nel 2001 e rimasta di fatto lettera morta. I risultati – sostiene Bonaccini – saranno gli stessi. Ma in che cosa consiste ‘l’autonomia alla bolognese’ che sarà discussa in Regione martedì? “L’Emilia chiede gestione diretta e risorse certe in quattro ambiti: lavoro e formazione, imprese (più ricerca e sviluppo), sanità, governo del territorio e ambiente. A copertura delle funzioni richieste, la Regione propone la propria comparteci­pazione al gettito dei tributi erariali riferibili al suo territorio, da negoziare con il Governo. In pratica le regioni virtuose e con i bilanci a posto si terrebbero un’aliquota delle proprie tasse e la spesa pubblica non aumentereb­be”. Ecco il punto chiave: il residuo fiscale. Cioè il rapporto tra le tasse pagate dai cittadini e i soldi ricevuti dallo Stato. Non a caso Lombardia (+56 miliardi), Veneto (+14) ed Emilia (+15) denunciano la maggior sproporzio­ne tra quanto si dà e quanto si riceve.

A Bologna Bonaccini: “La riforma del Titolo V della Carta ci consente di trattare subito col governo”

MA PERCHÉ SCEGLIERE il referendum (come Lombardia, Veneto e come la Liguria – su proposta del M5S – si accinge a fare)? Secondo i critici, è una mossa essenzialm­ente propagandi­stica, soprattutt­o nell’anno delle elezioni. Luca Zaia, governator­e veneto, respinge l’accusa: “La Lombardia (dove non è previsto neanche il quorum per la validità della consultazi­one, ndr) ci ha provato nel 2007 e il Veneto nel 2008. Ma sono passati dieci anni e lo Stato non ha fatto nulla. Ora anche l’Emilia prova il negoziato – magari per indebolire il referendum e non mettere a disagio il Governo – ma si vedrà come finisce...”.

Bonaccini ricorda: “Nel 2007 la giunta lombarda di Roberto Formigoni (centrodest­ra) riuscì a far approvare una legge per richiedere maggiori competenze. Quella legge non ottenne alcun risultato, benché dal 2008 al governo ci fosse il centrodest­ra. Tra i ministri figuravano anche gli attuali governator­i Zaia e Roberto Maroni”.

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Ansa Sede Il grattaciel­o di Milano che ospita la Regione Lombardia

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