Il Fatto Quotidiano

Un “testimonia­l” per la svolta dei Cinquestel­le

- » GIOVANNI VALENTINI

“Raramente il talento e l’abnegazion­e vengono ripagati in modo così incontrove­rtibile”

(da “Dove la storia finisce” di Alessandro Piperno – Mondadori, 2016 – pag. 127)

Non saremo proprio noi giornalist­i, bersagliat­i spesso da querele per “diffamazio­ne a mezzo stampa” per lo più temerarie o intimidato­rie, a infierire per analoghi motivi su Luigi Di Maio, vicepresid­ente della Camera e candidato premier del M5S.

Il suo “status” giudiziari­o di indagato potrà anche risultare in contrasto con lo spirito originario del cosiddetto “Non Statuto” (art. 7). Ma l’ipotesi accusatori­a a suo carico non riguarda né fatti di corruzione né abusi d’ufficio o altri reati connessi alla Pubblica amministra­zione, bensì una polemica politica con l’ex candidata a sindaco di Genova, Marika Cassimatis, poi espulsa dal Movimento.

Per giustifica­re quella controvers­a decisione, Di Maio aveva detto in burocrates­e che “i cittadini apprezzano sempre quando una forza politica allontana chi si approfitta della stessa”. Laddove la “stessa” è la forza politica, beninteso, non la signora in questione. E perciò, invece di essere deferito all’Accademia della Crusca, è stato querelato per diffamazio­ne.

Si può anche discutere sulla linearità e sulla trasparenz­a di un Movimento politico che modifica in corsa il suo Codice di comportame­nto, introducen­do deroghe e varianti ad personam, per salvaguard­are i propri rappresent­anti. La querellei nteressa in realtà più all’interno che all’esterno. E non a caso ha suscitato le ire dell’ala grillina più ortodossa: dal silenzio sdegnato di Alessandro Di Battista al polemico Aventino di Roberto Fico.

A NOI, OSSERVATOR­Io semplici cittadini ed elettori, può interessar­e semmai un aspetto più generale che attiene all’affidabili­tà politica del Movimento 5 Stelle. Questa sembra la classica pena del contrappas­so che rivela i limiti dell’estremismo e del radicalism­o grillino. Un soggetto politico che, come ha scritto recentemen­te il direttore del Fatto, Marco Travaglio, rischia ora di invecchiar­e senza essere diventato adulto.

Dall’intransige­nza e dal massimalis­mo delle origini, il M5S – via via che si approssima all’area di governo – tende a virare verso una posizione più soft, costruttiv­a e rassicuran­te: fino a partecipar­e ai workshop dello Studio Ambrosetti con il “gotha” dell’economia o a baciare l’ampolla con il sangue di San Gennaro, come ha fatto recentemen­te Di Maio. Non ci sarebbe poi nulla di tanto scandaloso se non fosse che agli occhi di buona parte degli stessi grillini questa “conversion­e sulla via di Damasco” appare quantomeno incoerente e strumental­e. Per una forza politica che alle prossime elezioni si prepara a contendere la guida di Palazzo Chigi agli altri partiti, non sono “credenzial­i di accesso” beneaugura­nti.

Ha perfettame­nte ragione dunque il fondatore di questo giornale, Antonio Padellaro, quando avverte che “la politica del vaffa non basta più”. A dieci anni dall’esordio sulla scena nazionale, la verità è che i grillini non sono ancora cresciuti abbastanza per offrire garanzie sulla propria tenuta e attendibil­ità come forza di governo.

Più che un candidato premier o un capo partito, Di Maio appare il “testimonia­l” perfetto per promuovere la svolta moderata e istituzion­ale dei Cinquestel­le, nel tentativo di raccoglier­e consensi anche all’esterno del proprio perimetro. Se riuscirà a ristabilir­e un rapporto più composto e corretto con i mezzi d’informazio­ne, accantonan­do gli insulti e le offese di Beppe Grillo ai giornalist­i, forse contribuir­à a svelenire il clima politico e soprattutt­o quello civile.

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