Seregno, la tesi di Simone che già cinque anni fa parlava di ’ndrangheta
In Lombardia come a Palermo omertà vuole che un giovane scriva ciò che succede nella sua città mentre tutti tacciono
Magari capiterà ancora che qualcuno si innervosisca. E se la prenda con il giovane protagonista di questa storia. Sapete com’è, in Lombardia da un po’di tempo tira un’aria strana. Però state prima a sentire: “Seregno non è stata esente, come buona parte dei comuni circostanti, da fenomeni di infiltrazione e colonizzazione del suo territorio da parte di diverse tipologie di criminalità organizzata […] La ‘ndrangheta ha acquisito negli ultimi decenni una posizione di egemonia nel contesto delle attività illegali. La città, coinvolta nelle ordinarie cronache che hanno raccontato i diversi casi di estorsione, usura, traffico e deposito d’armi, discariche abusive, è stata caratterizzata fino alle ultime inchieste da un forte clima di omertà che non ha permesso di dare una misura, nemmeno approssimativa, del peso della mano mafiosa nella vita cittadina”. E sentite ancora: “Andrà poi toccata la delicata questione della convergenza con una classe politica che da sempre, a parole, ha preso le distanze dai clan con diverse prese di posizione e molti gesti simbolici, ma i cui provvedimenti e legami personali non sempre risultano in linea con quanto viene dichiarato […]. Il clima non favorevole allo sviluppo culturale ed economico porta, per realizzare i propri progetti, a dover ricercare delle scorciatoie che qualcuno prima o poi offre, presentando il conto in un tempo successivo. Questa dinamica potenzialmente permetterebbe la riorganizzazione continua delle realtà mafiose, anche volendo arrestare dall’oggi al domani l’intero tessuto criminale”.
ECCO. IL CASOSeregno è esploso in questi giorni. E il comune è stato costretto ad autosciogliersi per mafia. E tutti i giornali e tutte le televisioni ne hanno parlato, “scoprendo” questa città della ricca Brianza. Eppure… Eppure le parole che avete appena letto non le ha scritte oggi una commissione di inchiesta, dotata di poteri speciali. Non le ha scritte un magistrato severo. Le ho tratte da una tesi di laurea che sono andato a riprendermi mentre risponde- vo a una sequenza di domande sul caso del giorno. È dell’anno accademico 2011-2012. Titolo: “La penetrazione della ‘ndrangheta in Lombardia: il caso di Seregno”. L’autore è un giovane di Seregno di nome Simone. Modesto, acuto, ironico. Il quale dimostrava già cinque-sei anni fa una perfetta consapevolezza di quel che stava accadendo nella sua città. Con linguaggio composto ma con la voglia fermissima di spiegare fino in fondo il fenomeno scelto come oggetto del suo studio, Simone andava su e giù per i fatti di cronaca degli anni precedenti e li riannodava, domandandosi perché perfino le confessioni del capo della locale di ‘ndrangheta, Antonino Belnome, che faceva pure l’allenatore di calcio per i ragazzini, fossero rimaste senza esiti nella vita cittadina. Davvero non si riesce a sapere nulla di concreto perché la ‘ndrangheta mica ha i pentiti? Un altro mio laureato, Federico, ne contò più di sessanta solo in Lombardia. Ecco il problema che ci sommerge. La scelta di non vedere, l’omertà reciproca, la copertura che ciascuno assicura all’altro, il sistema che si richiude subito dopo l’azione della magistratura e i fuochi fatui della politica. Scriveva Simone: “La po- litica seregnese è stata attraversata per qualche mese da discussioni accese, avendo l’inchiesta sfiorato un consigliere comunale della maggioranza; ma dei terremoti annunciati, come le minacce di scioglimento della giunta, non si sono realizzate che poche scosse”.
NON SUCCEDE NIENTE, insomma. Anche se tutti sanno. Anche se un giovane di ventitré-ventiquattro anni sa perfettamente chi domina la sua città e perché, mentre il sistema politico fa finta di non sapere e magari chiede le prove, invece di cercarle nei comportamenti politici e amministrativi che gli passano sotto il naso tutti i giorni. Anche se un giovane può, scavando nella storia recente della sua città, ricongiungere il cognome dei Lugarà e la loro attività imprenditoriale al sistema mafioso. E parlare delle competizioni economiche regolate dai mitra. Si possono fare i codici antimafia, insomma. Ma l’omertà è bestia terribile. Che solo nuove generazioni possono sradicare. Anche se davanti a loro trovano, in Lombardia come un giorno a Palermo, più che incoraggiamento, irritazione e dispetto. Magari perché dicono, e scrivono perfino nelle tesi di laurea, che il re è nudo. Che l’omertà non consente di avere “una misura, nemmeno approssimativa, del peso della mano mafiosa nella vita cittadina”. E anche questa irritazione fa parte del problema. O no?