“Troppo caos, così rischiano anche le norme anti-mafia”
Raffaele Cantone I timori del presidente Anac “L’estensione dei sequestri alla corruzione può far riaprire lo scontro su tutto”
La polemica sulle modifiche appena introdotte al codice Antimafia che estendono le misure preventive di sequestro e confisca di beni anche agli accusati di reati associativi contro la Pubblica amministrazione “rischia di riaprire il dibattito anche sulle misure applicate ai mafiosi, un dibattito che è stato chiuso da poco con una sentenza della Corte dei diritti dell’uomo che le ha in sostanza avallate sia pure con qualche critica”. Questo è il timore di Raffaele Cantone, oggi presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione e con un passato da magistrato anti-camorra.
Dottor Raffaele Cantone, il nuovo codice Antimafia viola lo stato di diritto, come dicono molti critici?
La mia valutazione complessiva delle modifiche è positiva: si interviene su molti degli aspetti critici che riguardano la velocità delle confische e le garanzie dei soggetti che le subiscono, si introduce una maggiore efficienza nella gestione, viene rivista la governance dell’Agenzia dei beni confiscati che finora non aveva ben funzionato.
E l’estensione delle misure preventive, prima di una sentenza, anche agli accusati di reati contro la Pubblica amministrazione la convince?
La norma permette di avviare l’azione di prevenzione in presenza di indizi di associazione a delinquere finalizzati alla corruzione, la concussione e il peculato e per l’applicazione della confisca non è necessaria una condanna, ma un mero quadro indiziario, cosa che crea grande tensione con lo stato di diritto. E perché con i mafiosi va bene mentre con i corrotti no?
L’associazione mafiosa è un sistema di vita e si può riconoscere da indici sintomatici ormai consolidati: se un soggetto ha abituali frequentazioni mafiose, non ha un lavoro, ha qualche precedente minore ma tipico di associati, viene indicato da pentiti come vicino a un clan e ha un patrimonio sproporzionato, si può ritenere che sia mafioso e dunque giustificare le misure preventive.
E che succede se estendiamo il principio alla corruzione? È molto più difficile individuare gli indizi di una associazione finalizzata alla corruzione. Un imprenditore che ha una disponibilità economica sproporzionata e partecipa agli appalti, potrebbe essere un evasore, uno che ha pagato tangenti o altro.
Al netto delle critiche di principio, almeno questa modifica è utile?
Il sistema delle misure di prevenzione già consentiva in via eccezionale una applicazione per reati connessi alla Pubblica amministrazione. Nel caso della cosiddetta “Cricca degli appalti”, per esempio, il tribunale e la corte d’Appello di Roma, su richiesta della Procura, hanno consentito la confisca di una villa con piscina a un manager pubblico prima ancora che fosse condannato: nel prov- vedimento i giudici hanno precisato che le misure preventive non si possono applicare in caso di una condotta occasionale di corruzione, ma se la con- dotta è abituale invece sì. Altra vicenda: di recente la celebre Villa Wanda di Licio Gelli è stata sequestrata ai suoi eredi per fatti di evasione fiscale. È la dimostrazione che in casi di particolare gravità le misure di prevenzione sono state sempre utilizzate anche fuori dall’ambito mafioso, pur con grande cautela. Il rischio è che adesso vengano applicate anche su basi meno solide.
E quindi ora cosa cambia nel concreto? Oltre al rischio di un’applicazione troppo ampia,
come dicevo, potrebbe anche verificarsi il paradosso che se un soggetto riesce a dimostrare di aver fatto corruzione tutto da solo, non potrebbe più essere sottoposto a misure di prevenzione, come invece può accadere ora, perché manca la dimensione associativa. Pensa che si tratti di un effetto collaterale non considerato o di una scelta precisa del Parlamento? Questa norma potrebbe essere stata sottovalutata nelle sue conseguenze. E infatti è stata criticata anche da giuristi non certo sospettabili di simpatia verso le mafie. Nessuno sostiene che si debba fa-
re un passo indietro nella lotta alla mafia, anzi. Il mio timore è che questa norma possa diventare il cavallo di Troia per rimettere in discussione il sistema delle misure di prevenzione. In che senso?
L’estensione verso reati non mafiosi accompagnata dal rischio di qualche sequestro eclatante, non seguito da confisca ma dal fallimento di un imprenditore, potrebbe riaprire sia dinanzi alla Corte costituzionale che a quella europea la contestazione su ll ’ intero impianto della prevenzione, compresa quella mafiosa.