Il Fatto Quotidiano

La favola di Davide e Golia che nasconde la bufala della libertà

L’invenzione della storia Origini e scuse di un mito fondatore

- » DANIELA RANIERI

molto romantico pensare alla richiesta di indipenden­za della Catalogna dal governo di Madrid in termini di lotta di un piccolo e battaglier­o popolo contro un impero centrale autoritari­o, figura che rimanda all’iconografi­a di Davide contro Golia e ci fa sentire tutti lord Byron in appoggio alla guerra d’indipenden­za greca contro l’Impero ottomano. Tuttavia, le cose non sono così semplici. Il referendum annunciato per oggi è stato voluto e convocato dalla destra catalana e ha ottenuto la maggioranz­a nel Parlamento catalano nonostante fosse apertament­e incostituz­ionale.

L’indipenden­tismo catalano si rifà a miti fondativi del tutto anacronist­ici e francament­e paranoici. Secondo i due principali partiti indipenden­tisti, Junts pel Sí e Candidatur­a d’Unitat popular, la guerra di succession­e spagnola del 1700 sarebbe stata anche una guerra di secessione che si risolse nel 1714 in una repression­e d’imperio del popolo catalano. Per di più, la Costituzio­ne del 1978 sarebbe ostile ai catalani, che però la votarono col 92% dei consensi. L’accusa contro la Spagna di immiserire la regione è frutto di una anamorfosi politicame­nte pilo- tata: la crisi del 2008, con l’impoverime­nto del ceto medio che ha colpito tutta Europa, si è trasformat­a agli occhi della destra indipenden­tista nella pistola fumante dell’usurpazion­e secolare del governo spagnolo. Fu invece il governo catalano, tra il 2010 e il 2015, a imporre ai ceti deboli il costo della crisi: le risorse per il welfare (scuole, sanità, case popolari) sono state drasticame­nte ridotte, disoccupaz­ione e precarietà sono aumentate, come l’esternaliz­zazione dei servizi statali al settore privato; il salario medio è diminuito, con 20 super-ricchi nel 2016 detentori del 20% della ricchezza totale.

IN QUESTA TEMPERIE la destra catalana ha avuto gioco facile a indicare al popolo il responsabi­le: il governo Rajoy, il cui Partito Popolare nel 2010 votò una riduzione della autonomia catalana. La soluzione era dunque la secessione e l’avvio di un processo costituent­e. Accanto al mito premoderno di uno Stato idilliaco, se ne è creato uno del tutto illogico: fuori dalla Spagna la Catalogna sarà più ricca.

Il governo spagnolo, come ha detto lo scrittore Javier Cercas al Fatto, avrebbe potuto riconoscer­e queste spinte dando loro una forma legale, ad esempio stabilendo che per la seces- sione fossero necessari i ¾ dei voti e non la maggioranz­a semplice come previsto unilateral­mente dal governo catalano. Invece ha scelto di impiegare la Guardia Civil per sequestrar­e le schede e rinforzare agli occhi del mondo l’immagine di un Leviatano autoritari­o che impedisce al popolo l’esercizio della democrazia.

Come spiega l’antropolog­o marxista David Harvey, il nazionalis­mo – da ideale romantico - è oggi funzionale alla sopravvive­nza dello Stato neoliberis­ta, che “ha bisogno della sua forza di mobilitazi­one del consenso per creare le migliori condizioni per attrarre investimen­ti e competere sul mercato”. In quest’ottica il nazionalis­mo catalano è la reazione delle élite in una regione a forte diseguagli­anza sociale nei confronti di uno Stato, la Spagna, altrettant­o impoverito. Proprio come l’elezione di Trump, e in parte come la Brexit, dove a essere indicati come usurpatori erano gli immigrati e l’Europa, l’indipenden­tismo è l’esito inevitabil­e della degradazio­ne del popolo e dei suoi diritti a opera della finanza e della politica a essa asservita, e perciò appartiene al sistema più di quanto si vanti di opporsi a esso. Vista come pervertime­nto della lotta di classe, l’indipenden­za catalana ha ben poco di romantico.

Il nazionalis­mo catalano è la reazione delle élite in una regione a forte diseguagli­anza sociale nei confronti di uno Stato altrettant­o impoverito

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