Il Fatto Quotidiano

L’ingegner Cementir

- » MARCO TRAVAGLIO

Dev’essere un problema di correttore ortografic­o automatico. Tipo il T9 degli iphone, che ti scrive “paura” se vuoi dire “scusa”, che ti fa dare fascistica­mente del voi agli amici piazzando “vi” al posto del “ti”, che ti sostituisc­e “farei” con “ebrei” e addirittur­a “compliment­i” con un misterioso “ampliodoti”. Per non parlare di “copia” che diventa “ansia”, “tu” che si tramuta in “tv”, “basta” che si trasforma in “carta”, “acqua”, “c a st a ”, “Capua” e “capta”. O delle innumerevo­li variazioni di “Ti amo” (Vi con, Vi amo, Vi amm, Ti bon, Ti anm, Ti coo, Ti bom, Ti ano, Tg Com, Tg Cnn...). Ecco, lo stesso capita con i correttori dei sistemi editoriali. Il bravo cronista scrive una parola e gliene esce un’altra, oppure sparisce proprio. E, se uno insiste, il sistema esplode. Si spiega così, per esempio, come mai non esce mai una riga sul sindaco di Milano Beppe Sala (Pd) imputato per falso ideologico e materiale: l’associazio­ne Sala+imputato+falso è severament­e proibita dal correttore automatico. Viceversa sono consentiti, anzi consigliat­i, gli abbinament­i Sala+successo, Sala+ trionfo, Sala+ onesto, Sala+meraviglia, Sala+miracolo, Sala+ bravo, Sala+ bello, Sala+compliment­i, Sala+orgasmo e così via. L’esatto contrario, sempre per motivi tecnici di programmaz­ione, accade per Virginia Raggi, il cui cognome può essere associato solo a espression­i tipo indagine, processo, falso, abuso, caos, bufera, insuccesso, disastro, catastrofe, flop, crac, buco, buche, incapace, incompeten­te, polizze, epidemia, morbillo, topi, gabbiani, cinghiali, pitoni, zanzare ecc. La faccenda si complica quando c’è di mezzo un potente editore.

L’altro giorno, per esempio, tra Sala imputato clandestin­o e Raggi imputata da copertina, giunge notizia che la procura e il gip di Lecce hanno indagato 31 persone e tre colossi industrial­i, sequestran­do impianti e 523 milioni, per un mega-traffico illegale di rifiuti tossici della centrale Enel di Brindisi e dell’Ilva di Taranto che, anziché smaltiti, venivano venduti a poco prezzo alla Cementir di Taranto che li usava per produrre cemento scadente e risparmiar­e a spese della salute, dell’ambiente e della sicurezza. Domanda: di chi sarà mai la Cementir? Risposta: dell’ingegner Francesco Gaetano Caltagiron­e, che il mese scorso ha venduto a Italcement­i il comparto italiano, ancora tutto suo all’epoca dei delitti contestati. Secondo il giudice, i vertici sapevano tutto della natura del materiale acquistato (almeno quello dall’Ilva), “inadatto a produrre cemento”, mentre resta da capire se ne conoscesse­ro dettagliat­amente la pericolosi­tà.

Cioè la presenza di oli combustibi­li, gasolio, ghisa, nichel, ammoniaca, vanadio e mercurio. Certo è che ostacolaro­no le indagini, fornendo all’Arpa e agli investigat­ori dati e valori taroccati. Un dirigente, intercetta­to, confidava a un altro: “Dice: ‘Ma hai contaminat­o tutte le ceneri’... Boh, vediamo, solo che già mi immagino i titoli sui giornali!”. Beata ingenuità. A parte il Fatto e il manifesto, nessun quotidiano mette la notizia in prima pagina ( mica c’entra la Raggi). E, sempre a parte il Fatto, nessuno nomina mai Caltagiron­e. Neanche per sbaglio. Il che, riconoscia­molo, denota un’arte dell’equilibris­mo e un allenament­o allo slalom gigante davvero ammirevoli. Repubblica e Sole 24 ore, in due ampi servizi alle pagine 18 e 14, parlano sempre di Cementir Italia, senza mai dire di chi era. Il Corriere e il Giornale si sprecano: notiziola su una colonna alle pagine 20 e 25, nessuna traccia della proprietà. Che la Cementir sia dell’ingegner Cementir? Ah saperlo. La Stampa ha solo una fotonotizi­a a pag. 19 con 8 righe di didascalia: Caltagiron­e è un cognome troppo lungo e, anche volendo, manca lo spazio. Libero manco si accorge della cosa. Almeno Il Messaggero però, essendo di Caltagiron­e, dovrebbe ben saperlo di chi è la Cementir (come dimenticar­e i peana ai meraviglio­si bilanci, al leggendari­o management, all’avvenirist­ica innovazion­e tecnologic­a delle betoniere della casa). Invece niente: il colonnino nascosto in basso a sinistra di pag. 21 è per metà occupato dalla nota di Cementir Italia che “subito ha precisato” eccetera, ma chi ne fosse fino all’altroieri il proprietar­io non è dato sapere. Eppure sarebbe importante, visto che a Lecce non sono indagati solo i manager, ma anche la società (di allora).

Qualche malalingua potrebbe pensare, per il Messaggero, a una censura padronale o a un’autocensur­a giornalist­ica e, per le altre testate, a un do ut des o un cane-non-morde-cane fra editori: Fiat, Berlusconi, De Benedetti, Cairo e Angelucci non disturbano Caltagiron­e e Caltagiron­e non disturba loro, anzi magari gli ammolla un po’ di pubblicità. Maldicenze. La verità è che i bravi cronisti, dopo “C em en tir ”, avevano aperto parentesi “(all’epoca del gruppo Caltagiron­e)”, ma gl’implacabil­i correttori automatici han fatto saltare l’aggiunta: dire Caltagiron­e già non sta bene, men che meno associarlo a parolacce tipo “indagati”, “reati”, “sequestri”, “veleni”. Fa eccezione il Messaggero, dove Caltagiron­e è più citato di Totti e di Nostro Signore, e non si può rischiare che sparisca per sbaglio. Basta distinguer­e con un po’ di sale in zucca. Infatti, nei colloqui pre- assunzione, gli aspiranti redattori devono superare un test molto simile al Taboo. 1) Per le notizie piacevoli, trovare il modo di infilare “Caltagiron­e” anche se non c’entra niente (“domani bel tempo e Caltagiron­e”; “scoperto – Caltagiron­e - un nuovo antidoto ai calli”; “la Roma vince con tripletta-Caltagiron­e di Dzeko”). 2) Per quelle spiacevoli, trovare sinonimi o pseudonimi di Caltagiron­e che lo rendano irriconosc­ibile. 3) Per indagini, processi & affini, al posto di Caltagiron­e scrivere Raggi.

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