L’ingegner Cementir
Dev’essere un problema di correttore ortografico automatico. Tipo il T9 degli iphone, che ti scrive “paura” se vuoi dire “scusa”, che ti fa dare fascisticamente del voi agli amici piazzando “vi” al posto del “ti”, che ti sostituisce “farei” con “ebrei” e addirittura “complimenti” con un misterioso “ampliodoti”. Per non parlare di “copia” che diventa “ansia”, “tu” che si tramuta in “tv”, “basta” che si trasforma in “carta”, “acqua”, “c a st a ”, “Capua” e “capta”. O delle innumerevoli variazioni di “Ti amo” (Vi con, Vi amo, Vi amm, Ti bon, Ti anm, Ti coo, Ti bom, Ti ano, Tg Com, Tg Cnn...). Ecco, lo stesso capita con i correttori dei sistemi editoriali. Il bravo cronista scrive una parola e gliene esce un’altra, oppure sparisce proprio. E, se uno insiste, il sistema esplode. Si spiega così, per esempio, come mai non esce mai una riga sul sindaco di Milano Beppe Sala (Pd) imputato per falso ideologico e materiale: l’associazione Sala+imputato+falso è severamente proibita dal correttore automatico. Viceversa sono consentiti, anzi consigliati, gli abbinamenti Sala+successo, Sala+ trionfo, Sala+ onesto, Sala+meraviglia, Sala+miracolo, Sala+ bravo, Sala+ bello, Sala+complimenti, Sala+orgasmo e così via. L’esatto contrario, sempre per motivi tecnici di programmazione, accade per Virginia Raggi, il cui cognome può essere associato solo a espressioni tipo indagine, processo, falso, abuso, caos, bufera, insuccesso, disastro, catastrofe, flop, crac, buco, buche, incapace, incompetente, polizze, epidemia, morbillo, topi, gabbiani, cinghiali, pitoni, zanzare ecc. La faccenda si complica quando c’è di mezzo un potente editore.
L’altro giorno, per esempio, tra Sala imputato clandestino e Raggi imputata da copertina, giunge notizia che la procura e il gip di Lecce hanno indagato 31 persone e tre colossi industriali, sequestrando impianti e 523 milioni, per un mega-traffico illegale di rifiuti tossici della centrale Enel di Brindisi e dell’Ilva di Taranto che, anziché smaltiti, venivano venduti a poco prezzo alla Cementir di Taranto che li usava per produrre cemento scadente e risparmiare a spese della salute, dell’ambiente e della sicurezza. Domanda: di chi sarà mai la Cementir? Risposta: dell’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone, che il mese scorso ha venduto a Italcementi il comparto italiano, ancora tutto suo all’epoca dei delitti contestati. Secondo il giudice, i vertici sapevano tutto della natura del materiale acquistato (almeno quello dall’Ilva), “inadatto a produrre cemento”, mentre resta da capire se ne conoscessero dettagliatamente la pericolosità.
Cioè la presenza di oli combustibili, gasolio, ghisa, nichel, ammoniaca, vanadio e mercurio. Certo è che ostacolarono le indagini, fornendo all’Arpa e agli investigatori dati e valori taroccati. Un dirigente, intercettato, confidava a un altro: “Dice: ‘Ma hai contaminato tutte le ceneri’... Boh, vediamo, solo che già mi immagino i titoli sui giornali!”. Beata ingenuità. A parte il Fatto e il manifesto, nessun quotidiano mette la notizia in prima pagina ( mica c’entra la Raggi). E, sempre a parte il Fatto, nessuno nomina mai Caltagirone. Neanche per sbaglio. Il che, riconosciamolo, denota un’arte dell’equilibrismo e un allenamento allo slalom gigante davvero ammirevoli. Repubblica e Sole 24 ore, in due ampi servizi alle pagine 18 e 14, parlano sempre di Cementir Italia, senza mai dire di chi era. Il Corriere e il Giornale si sprecano: notiziola su una colonna alle pagine 20 e 25, nessuna traccia della proprietà. Che la Cementir sia dell’ingegner Cementir? Ah saperlo. La Stampa ha solo una fotonotizia a pag. 19 con 8 righe di didascalia: Caltagirone è un cognome troppo lungo e, anche volendo, manca lo spazio. Libero manco si accorge della cosa. Almeno Il Messaggero però, essendo di Caltagirone, dovrebbe ben saperlo di chi è la Cementir (come dimenticare i peana ai meravigliosi bilanci, al leggendario management, all’avveniristica innovazione tecnologica delle betoniere della casa). Invece niente: il colonnino nascosto in basso a sinistra di pag. 21 è per metà occupato dalla nota di Cementir Italia che “subito ha precisato” eccetera, ma chi ne fosse fino all’altroieri il proprietario non è dato sapere. Eppure sarebbe importante, visto che a Lecce non sono indagati solo i manager, ma anche la società (di allora).
Qualche malalingua potrebbe pensare, per il Messaggero, a una censura padronale o a un’autocensura giornalistica e, per le altre testate, a un do ut des o un cane-non-morde-cane fra editori: Fiat, Berlusconi, De Benedetti, Cairo e Angelucci non disturbano Caltagirone e Caltagirone non disturba loro, anzi magari gli ammolla un po’ di pubblicità. Maldicenze. La verità è che i bravi cronisti, dopo “C em en tir ”, avevano aperto parentesi “(all’epoca del gruppo Caltagirone)”, ma gl’implacabili correttori automatici han fatto saltare l’aggiunta: dire Caltagirone già non sta bene, men che meno associarlo a parolacce tipo “indagati”, “reati”, “sequestri”, “veleni”. Fa eccezione il Messaggero, dove Caltagirone è più citato di Totti e di Nostro Signore, e non si può rischiare che sparisca per sbaglio. Basta distinguere con un po’ di sale in zucca. Infatti, nei colloqui pre- assunzione, gli aspiranti redattori devono superare un test molto simile al Taboo. 1) Per le notizie piacevoli, trovare il modo di infilare “Caltagirone” anche se non c’entra niente (“domani bel tempo e Caltagirone”; “scoperto – Caltagirone - un nuovo antidoto ai calli”; “la Roma vince con tripletta-Caltagirone di Dzeko”). 2) Per quelle spiacevoli, trovare sinonimi o pseudonimi di Caltagirone che lo rendano irriconoscibile. 3) Per indagini, processi & affini, al posto di Caltagirone scrivere Raggi.