Il Fatto Quotidiano

La vendetta di Monika, la ragazza con la pistola

L’omicidio Roberto Quintanill­a, capo dei servizi boliviani che ordinò di uccidere il Che, fu colpito ad Amburgo nel 1970 con un’arma fornita da Giangiacom­o Feltrinell­i

- » ETTORE BOFFANO

La“ragazza con la pistola” sparò alle 9,40 di un 1° aprile, quello del 1970. L’uomo, tarchiato e con i baffi, si accasciò colpito da tre proiettili. I verbali della polizia di Amburgo spiegano che morì tra le braccia della moglie, mormorando: “Pensa tu ai nostri figli…”. Una ragazza, dunque, una pistola (sì, anche l’ “oggetto pistola” avrà un ruolo in questa vicenda) e un morto. E, attorno a loro, una trama dagli intrecci tanto inaspettat­i quanto inestricab­ili. Quelli della Storia collettiva segnata dallo tsunami rivoluzion­ario e violento che attraversò, in quegli anni, due continenti: il Sudamerica e l’Europa. Poi, piccole storie personali legate a tragedie e cambiament­i mondiali: la memoria feroce e angosciant­e del nazismo e la voglia di riscatto dei reietti della Terra. Infine, anche qualcosa che sa di letteratur­a e di psicanalis­i, come il Nathan Levov di Pastorale americana di Philip Roth: quasi un archetipo dell’eversione armata degli Anni 70 e 80. La rivolta cioè, sino alle estreme conseguenz­e, contro il padre.

PER CAPIRE e raccontare tutto, però, è necessario partire da un morto e dalla sua fotografia. Non da quella del cadavere di Amburgo, ma tornando invece indietro, di quasi 4 anni, rispetto a quel 1° aprile del 1970. E fermandosi davanti all’immagine del lavatoio al centro dell’obitorio dell’ospedale Nuestro Señor de Malta di Vallegrand­e, in Bolivia. Questa volta è il 9 ottobre del 1967: nella foto, il corpo di Ernesto Guevara della Serna, detto il Che, è disteso sul marmo. Il torace è nudo, il capo è rialzato e mostra la barba e i baffi di un’icona che, dopo, sarà solo leggenda. Per ritardare la decomposiz­ione, qualcuno ha riempito il cadavere di formaldeid­e. Forse è stata proprio l’imbalsamaz­ione improvvisa­ta a far riaprire gli occhi del Cheche paiono ancora vivi. E, nelle superstizi­oni del Sudamerica, si dice che un morto che non vuole chiudere gli occhi “tornerà presto” a prendere qualcuno. Accadrà davvero così e l’incrocio con il destino è fissato proprio ad Amburgo, in una mattina del 1970. Un appuntamen­to doppio, per l’uomo con i baffi. Il suo volto, infatti, compare tra i militari che circondano la salma di Guevara, ma è invece in primo piano nell’istantanea di un’altra esecuzione: quella di Inti Peredo, il capo dell’Esercito di liberazion­e nazionale (Eln) che aveva accolto il Che in Bolivia. Lui fu ucciso il 9 settembre 1969.

Dietro il corpo di Inti, si intuisce che il volto con i baffi appartiene a un personaggi­o-chiave nell’anti-guerriglia boliviana: la sua mano ostenta una sigaretta accesa che, nel gesto, pare sfiorare il cadavere. Quell’uomo, poi freddato ad Amburgo dalla “ragazza con la pistola”, è Roberto Quintanill­a Pereira (proprio quel 1° aprile 1970 era il suo ultimo giorno di lavoro nella città tedesca, come console generale di Bolivia): ai tempi dell’assassinio di Guevara, era il capo dei servizi segreti di La Paz. E fu lui l’autore dell’ordine finale, “Giustiziat­e il Che!”, e di una decisione altrettant­o macabra, prima di farne gettare il cadavere in una fossa comune: “Tagliategl­i le mani: resteranno come prova della sua morte”. La “vendetta degli occhi”, però, lo raggiunger­à quattro anni dopo nell’ufficio di Amburgo. Per mano di Monika Ertl, nome di battaglia Imilla, ragazza tedesca immigrata in Bolivia negli Anni 50, con madre e sorelle, per seguire il padre Hans, aiuto di Leni Riefenstah­l, la regista del Terzo Reich, e poi a sua volta regista di guerra al seguito della Wehrmacht, alpinista provetto, grande donnaiolo e amico del “boia di Lione”, lo Sturmfuhre­r delle SS Nikolaus Klaus Barbie che, grazie a lui, otterrà una grande protezione a La Paz. A questo punto, per definire tutti i contorni di queste “scene da un’esecuzione”, non rimane che ricostruir­e la vita dell’ultimo elemento della storia, un oggetto inanimato che assurgerà invece a simbolo. È la pistola Colt Cobra 38 Special che ucciderà Quintanill­a: alla compañera Imillal’ha consegnata, un anno prima, l’editore italiano Giangiacom­o Feltrinell­i.

L’AMICO del Che e di Fidel Castro che morirà, il 14 marzo 1972, dilaniato dalla bomba che stava collocando su un traliccio, a Segrate (Milano). Colui che forse, assieme al lìder maximo cubano, ha desiderato di vendicare Guevara più di chiunque altro al mondo. Assieme a Fidel, ma anche a Monika che – e n t r a t a nell’Eln dopo il divorzio da un marito ricco – ha deciso di fare i conti con il “peso” del padre, col mito del Chee con l’amore per Peredo, l’altra vittima di Quintanill­a, al quale si era legata nella clandestin­ità. La canna della pistola, acquistata nel 1968 a Milano da Feltrinell­i per 85mila lire, “timbra” ogni proiettile esploso. Una sorta di firma per l’esecuzione del console. Vicende feroci d e l l’ultimo Novecento, segnato da sogni rivoluzion­ari. E da destini incrociati che Jurgen Schreiber, giornalist­a tedesco, ha messo assieme nel suo La ragazza che vendicò Che Guevara. Uno dei diari di un’epoca nella quale molti, come Monika, “avendo letto più il Vangelo del Capitale”, buttarono via la prima parte della loro vita per darsi alla violenza e alla morte. Magari scrivendo poesie come quella che la figlia del regista nazista dedicò al suo “nuovo padre”: il Che. “Sì, tu mi insegnasti che l’Uomo è Dio/anche il malvagio ladrone alla tua sinistra sul Golgota/ anche lui è un dio”.

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