I bersaniani mollano il governo, Pisapia no
Bubbico si dimette da viceministro dell’Interno
■ Ufficialmente la scelta è motivata dal fatto di volersi tenere le mani libere sul Def (che il gruppo di Mdp non voterà, preferendo uscire dall’aula). Ma i parlamentari dell’ex sindaco di Milano già si smarcano
Volendo riassumere brutalmente la situazione è questa: i bersaniani di Articolo 1- Mdp hanno bisogno di marcare le distanze dal Pd e da ieri sono ufficialmente fuori dalla maggioranza avendo fatto dimettere pure il loro unico membro del governo (il viceministro all’Interno Filippo Bubbico); nel fare questo, però, Mdp marca pure le distanze da quel gruppetto di parlamentari, soprattutto ex democristiani, che si considera la falange di Giuliano Pisapia in Parlamento e sceglie la strada della lista unica con gli ex vendoliani di Sel, Pippo Civati e altri; il governo - infine - perde di fatto la maggioranza in Senato, ma non rischia affatto di cadere. Paradossi che capitano quando si mischia l’aria di elezioni con la discussione sulla legge elettorale.
LA POCHADE del futuro centrosinistra inizia così. Bersani e soci da settimane chiedono a Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan di fare cose che non vogliono, né possono fare: su tutte, cancellare un bel pezzo del Jobs act di Renzi e finanziare con più fondi la sanità in modo da evitare i cosiddetti “superticket”. Il governo non ci sente e non accetta di prendersi impegni in questo senso. E qui entra in scena la nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) dove si delineano gli obiettivi di fi- nanza pubblica che poi la manovra dovrà realizzare: i bersaniani, non avendo ottenuto nulla, hanno deciso di non votare la relazione con cui il Parlamento approva il Def. Domani usciranno dall’aula.
Solo che Mdp non starà sempre fuori, prima salverà Gentiloni: ol- tre al voto generico, quello in cui le Camere consigliano all’esecutivo di fare cose che tanto non farà mai, c’è quello a maggioranza assoluta degli aventi diritto che gli permette invece di “usare” per il 2018 più deficit di quanto previsto ad aprile (1,6% del Pil anzichè 1,2, circa 7 miliardi di euro). Alla Camera non ci sarebbero comunque problemi, ma in Senato i 16 voti di Mdp sono fondamentali per raggiungere quota 161 ed evitare che la manovra sia ancora più “austera” di quanto non sarà comunque: Padoan li avrà. Come dice Pier Luigi Bersani: “Non faremo arrivare la Troika” (in tal senso è una fake news la serie di dichiarazioni dem su Mdp che fa aumentare l’Iva).
QUESTO MINUETTOè stato deciso ieri in una assemblea dei gruppi di Mdp e comunicato urbi et orbi dal piccolo leader dei bersaniani, Roberto Speranza: “È chiaro che il giudizio di fondo sul Def è negativo per la mancanza di risposte alle questioni che abbiamo posto. Al momento non mi sento più politicamente dentro questa maggioranza”. La sensazione di Speranza viene confermata in serata dalla dichiarazione all’Ansa del viceministro Bubbico, ex unico bersaniano al governo: “La mia posizione sul Def coincide con quella espressa dai gruppi Mdp. Per questi motivi, dopo avere informato il presidente Gentiloni e il ministro Min- niti, ho rassegnato le mie dimissioni dal governo”. Un atto che segnala plasticamente l’uscita degli “scissionisti” del Pd dalla maggioranza: d’altronde per essere alternativi ai democratici una qualche posizione di rottura davanti all’elettorato era necessaria.
In sostanza i bersaniani hanno scelto la via della lista unica con Sinistra Italiana, Possibile e il resto di quel che si agita fuori dal Pd di Matteo Renzi. Spostandosi da quel lato, però, i bersaniani si sono persi per strada (e senza particolare dolore) la pattuglia di parlamentari che hanno aderito al Campo progressista di Giuliano Pisapia. Uno per tutti, l’ex Dc Bruno Tabacci: “Mdp sta sbagliando: noi votiamo a favore del Def”.
L’unica cosa certa, dopo questo bailamme, è che il passaggio della prossima legge di Bilancio in Senato questo autunno sarà una sorta di ordalia continua, che probabilmente verrà chiusa con due o tre voti di fiducia in cui torneranno a pesare quelli di Ala, il gruppo messo in piedi da Denis Verdini per aiutare Renzi. Dopo, per fortuna, si vota.
Da Tesoro e Palazzo Chigi nessuna risposta Adesso non mi sento più politicamente dentro questa maggioranza
ROBERTO SPERANZA Verso il voto Articolo 1 marca la distanza con Renzi e si unisce a SI e Civati: l’ex sindaco di Milano non vuole farlo