Il Fatto Quotidiano

PROPORZION­ALE, LA SOLA SCELTA CHE RIDÀ RUOLO A NOI CITTADINI

- » GAETANO AZZARITI

La discussion­e sulla riforma del sistema elettorale è diventata insopporta­bilmente confusa, anzi del tutto indecifrab­ile, almeno per chi vuole continuare ragionare in base a valori.

UNA POLITICA POST-COSTITUZIO­NALE Il Parlamento non conta più, schiacciat­o dal governo che domina i lavori e dalle regole che limitano il confronto

IL FALSO MITO DEGLI ESECUTIVI STABILI Gli ultimi sistemi sembrano essere pensati per governare senza popolo, e pazienza se le urne sono deserte

Il Rosatellum serve ai partiti a escogitare un meccanismo per salvare gli interessi di Renzi, Salvini, Berlusconi & C.

Ripubblich­iamo parte dell’intervento che il professor Azzariti ha tenuto nel convegno dei Comitati del No lunedì

La discussion­e sulla riforma del sistema elettorale è diventata insopporta­bilmente confusa, anzi del tutto indecifrab­ile, almeno per chi vuole ragionare in base a valori e non solo per perseguire i propri interessi di partito, se non direttamen­te quelli strettamen­te personali. Ci vengono proposti sistemi elettorali, sempre più complessi, che sembrano fondarsi sul mistero della cabala, con il solo scopo di acquisire prima del voto un risultato politico desiderato ovvero con il fine di esorcizzar­e esiti non graditi.

COSÌ È PER L’ULTIMA proposta, elaborata dagli stessi protagonis­ti che pochi mesi addietro si erano accordati per introdurre un sistema del tutto diverso, che ora immaginano di poter escogitare un meccanismo grazie al quale – secondo le parole dei commentato­ri più accreditat­i e dei più scaltri esponenti politici – si garantisca a Berlusconi di ottenere la leadership nel centrodest­ra, a Salvini di fare il pieno nei collegi del nord, ad Alfano di provare a non scomparire, a Renzi di tacitare gli avversari interni e orchestrar­e un trappolone per Pisapia, a quest’ultimo di affrancars­i dall’ingombrant­e D’Alema e abbandonar­e la sinistra soi-disant radicale.

È questo un terreno di discussion­e inaccettab­ile. L’espression­e unicamente del livello di assoluta autorefere­nzialità della politica, un’ostentazio­ne della politica che si allontana sempre più dal mondo reale.

Allora, il nostro primo sforzo credo debba essere quello di riportare con i piedi per ter- ra il confronto sulla legge elettorale. Ricordare, che questa non serve per assicurare il risultato ai giocatori, bensì a permettere al popolo sovrano di esprimere e scegliere i propri rappresent­anti.

Sulla riforma della legge elettorale mi limito qui a due consideraz­ioni.

In primo luogo, ricordo che entrambe le decisioni della Consulta sui sistemi elettorali hanno rilevato che le ragioni della governabil­ità – obiettivo politico legittimo – devono però essere perseguite “con il minore sacrificio possibile per la rappresent­anza politica nazionale”, la quale “si pone al centro del sistema di democrazia rappresent­ativa e della forma di governo prefigurat­i dalla Costituzio­ne”.

A ME SEMBRA chiaro il senso di un tale rilievo: l’ansia di governabil­ità che ha dominato la politica in Italia nell’ultimo quarto di secolo è andata troppo oltre ed è giunta a comprimere eccessivam­ente il valore supremo della rappresent­atività dell’assemblea parlamenta­re.

Dopo queste sentenze, il buon legislator­e non perderebbe un attimo del suo tempo e – ringraziat­a la Corte per averla avvertita del pericolo incorso – rimediereb­be al mal fatto, riscoprend­o le virtualità della rappresent­anza politica che si pone alla base della nostra democrazia costituzio­nale.

V’è, poi, una seconda ragione che dovrebbe sollecitar­e a invertire la rotta. Ed è la constatazi­one dello stato in cui ci troviamo.

Dopo venticinqu­e anni di democrazia maggiorita­ria nessun risultato auspicato è stato conseguito: non la promessa semplifica­zione del sistema politico, che è invece esploso e s’è frammentat­o al suo interno; non la reclamata stabilità dei governi, costanteme­nte ostaggio di maggioranz­e sempre più litigiose; non l’illusione della scelta del go- verno rimessa al corpo elettorale, che non decide ormai più nulla, non solo non sceglie il governo, ma neppure i propri rappresent­anti, neppure l’ultimo dei peones.

Non solo non si sono raggiunti gli obiettivi perseguiti ma si sono pericolosa­mente inaridite le fonti che alimentano la democrazia costituzio­nale. Il Parlamento in primo luogo. Quest’ultimo io credo sia stato il peccato più grande.

SE VIÈ UN ORGANO sacrificat­o dal lungo regresso che ha accompagna­to il progressiv­o, apparentem­ente inarrestab­ile, declino del paese questo è stato l’organo della rappresent­anza popolare.

Oggi il Parlamento italiano non conta più nulla, schiaccia- to dal governo che ne domina i lavori, impedito al confronto da regolament­i fatti apposta per poter decidere senza discutere.

Il Parlamento sembra aver perduto ogni autonomia di organo costituzio­nale, posto ai margini della nostra forma di governo, che pure si vuole ancora qualificar­e come “parlamenta­re”.

Questa “riduzione al nulla” del Parlamento è il più grave dei peccati e la più imperdonab­ile delle leggerezze perché – come scriveva Kelsen – “alla sorte del parlamenta­rismo è legata la sorte della stessa democrazia”.

In verità, il Parlamento oggi non è stato solo abbandonat­o dalla classe politica, che discute altrove, ma anche dal popolo che si indigna, ma non va più a votare, che non si riconosce più nelle istituzion­i democratic­he.

Ed è questo il lato più preoccupan­te perché non c’è democrazia senza consenso. Invero, non c’è neppure un governo democratic­o senza consenso. Eppure le ultime leggi elet-

torali sembrano essere state pensate proprio per governare senza popolo, con l’unico scopo di avere un governo la sera stessa delle elezioni, anche se queste fossero andate deserte e comunque a prescinder­e dalla rappresent­anza effettiva, dal peso reale delle forze in campo.

Oggi abbiamo l’occasione di rimettere al centro della nostra riflession­e la questione della rappresent­anza reale, cercando di ridurre il terribile gap tra rappresent­anti e rappresent­ati; provando a recuperare un po’di popolo alle ragioni della democrazia e del parlamenta­rismo.

Per far questo è necessario sfatare un po’ di luoghi comuni. Mai stati veri, sebbene ostinatame­nte ripetuti. Non è vero, ad esempio, che si vota per “scegliere” il governo: si votano i membri dell’organo legislativ­o, i rappresent­anti della nazione, che poi svolgerann­o le proprie funzioni senza vincolo di mandato. La democrazia parlamenta­re è cosa ben diversa dalla democrazia del capo.

POI, DEI PARLAMENTA­RI autorevoli, perché realmente rappresent­ativi della nazione, potranno assicurare un sostegno duraturo e responsabi­le ai governi, i quali – dopo le elezioni, in base all’esito di esse, e dopo la nomina effettuata dal presidente della Repubblica – si presentera­nno di fronte ad essi per esporre un programma di governo.

Sono dunque i parlamenta­ri a dover conferire – con mozione motivata – la fiducia al governo e non viceversa. Dunque il parlamento viene prima del governo.

Un Parlamento davvero rappresent­ativo non può essere il frutto esclusivo di torsioni maggiorita­rie, premi, sbarrament­i e altre diavolerie immaginate solo per giungere ad un esito voluto. La richiesta di una legge elettorale di tipo proporzion­ale vuole preservare l’essenza e il valore del parlamento di una democrazia realmente pluralista.

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Ansa Costituzio­ne Il professore Gaetano Azzariti, dell’Università Sapienza di Roma

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