Boss e minacce a Saviano, tutto riparte da zero
Condanna annullata in appello: il procedimento si sarebbe dovuto tenere a Roma
Sono stati sprecati quasi dieci anni per stabilire che il processo per le minacce camorristiche allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista d’inchiesta Rosaria Capacchione, poi eletta senatrice nel Pd, andava celebrato a Roma, e non davanti al Tribunale di Napoli che ha condannato l’avvocato del clan dei Casalesi Michele Santonastaso a un anno. “Quasi dieci anni danno la cifra di come funziona la giustizia in Italia – commenta Saviano – dieci anni e tutto da rifare. C’è poco da sperare, le organizzazioni criminali vincono perché chi ha sete di giustizia finisce invariabilmente giustiziato”.
LA CONDANNAdi Santonastaso risale al 10 novembre 2014 (furono invece assolti i boss Antonio Iovine, oggi pentito, e Francesco Bidognetti), ed è di fatto finita nel cestino della carta straccia. Lo ha sancito ieri una decisione della Corte d’Appello di Napoli, presidente Fernando Giannelli. Per i magistrati di secondo grado il processo a Santonastaso – finito alla sbarra per l’inquietante proclama letto in aula il 13 marzo 2008 durante un’udienza di appello Spartacus, un mix di minacce e insinuazioni su giornalisti e pm inserite in un’istanza di remissione a nome di Iovine e Bidognetti che fu respinta – andava connesso a un altro processo a Roma che vede parti lese di diffamazione aggravata e calunnia gli ex pm anticamorra Raffaele Canto- ne (presidente dell’Anticorruzione) e Federico Cafiero de Raho (oggi procuratore capo di Reggio Calabria), conclusosi nel luglio 2016 con la condanna in primo grado dell’avvocato a cinque anni e mezzo. La questione era già stata sollevata dalle difese in Tribunale, che l’aveva respinta. La Corte d’Appello partenopea l’ha invece accolta, si è dichiarata incompetente e ha trasmesso le carte a Roma. Nel gioco dell’oca della giustizia, si torna alla casella del via: la Procura capitolina dovrà riesercitare l’azione penale e riscrivere, se e come lo riterrà, la richiesta di rinvio a giudizio.
“Il reato si dovrebbe prescrivere nel 2023” sostiene l’avvocato Antonio Nobile, difensore di Saviano. “Sì, ma chi me li restituisce questi dieci anni” riflette con amarezza Capacchione. La notizia l’ha sorpresa mentre era alle prese con le votazioni in Senato. “Eppoi mi chiedo: sarò viva nel 2023? A questo punto meglio la prescrizione che ti certifica il decorso del tempo. Magari qualche buontempone dirà che da questa vicenda ci ho guadagnato. Ma io vorrei tornare come stavo prima”.
Il 13 marzo 2008 Capacchione lavorava come cronista di giudiziaria del Mattino da Caserta e scriveva un giorno sì e l’altro pure le malefatte del clan dei Casalesi. Pochi giorni dopo il proclama di Santonastaso, le fu assegnata la scorta che l’accompagna ancora oggi. Iniziò la sua vita blindata, che l’ha messa in difficoltà persino al lavoro: “Come potevo incontrare le mie fonti con gli agenti al mio fianco”?
IL GIORNO del proclama, Saviano era già sotto scorta. Nel mirino del clan per il libro Gomorrae poi per aver coraggiosamente ostentato la sua presenza ad alcune udienze di Spartacus. Quel giorno, però, lo scrittore non c’era. Ma fu subito avvertito, studiò i dettagli dell’accaduto dai resoconti giornalistici e dal verbale dell’udienza. Sporse denuncia. Si è costituito parte civile. Era in aula il giorno della sentenza. Che non l’ha mai convinto: al contrario di Capacchione, Saviano non crede alla tesi dell’avvocato che avrebbe agito in autonomia e senza concordare il proclama e le minacce coi boss che assisteva.
Per lo scrittore, Iovine e Bidognetti dovevano essere condannati in concorso con Santonastaso. Secondo il pm Cesare Sirignano, che sostenne l’accusa in giudizio, andava condannato solo Bidognetti insieme al suo legale. Anche la Procura infatti aveva presentato un ricorso in Appello su questo punto. Ma ora passa tutto a Roma.
Le reazioni
La senatrice: “Chi mi restituisce questi anni?”. Lo scrittore: “Vince il crimine”