Il Fatto Quotidiano

DDL INTERCETTA­ZIONI, FIDARSI DEI GIUDICI MAI?

- » PIERGIORGI­O MOROSINI

Polemiche, strumental­izzazioni, sospetti. Sono, da anni, le reazioni ad ogni progetto di riforma delle intercetta­zioni. E non hanno risparmiat­o neppure la bozza “senza padri” di decreto legislativ­o, trapelata all’inizio di settembre da via Arenula. Un “ballon d’essai”, o meglio una “prova di riforma”, che ha subito diviso. Con alcuni pronti a sbandierar­e la rivincita del “processo penale” sul “processo mediatico”. E altri, a denunciare l’ennesimo “favore ai potenti”. Prudenteme­nte il Guardasigi­lli ha annunciato correzioni di rotta. Ma nella ricerca di soluzioni condivise, resta sul tappeto una questione di fondo. Ossia, se oggi l’equilibrio nel rapporto tra indagini, sfera privata e informazio­ne sia solo un problema di leggi. O non piuttosto di profession­alità e deontologi­a di magistrati, polizia giudiziari­a e giornalist­i. Posto che mezzi di captzione ad alto tasso tecnologic­o restano irrinuncia­bili nel contrasto a quella criminalit­à che condiziona l’economia e le istituzion­i del nostro paese. Come la cronaca quotidiana dimostra.

Non è ammissibil­e la “pesca a strascico nelle vite degli altri”. È il mantra della legge delega n.103 del 2017, architrave della riforma.

La privacy delle comunicazi­oni può sacrificar­si solo per contrastar­e e reprimere gravi reati. La discrezion­e è d’obbligo per colloqui che contengono dati sensibili (es. salute, affetti, intimità) o che coinvolgon­o persone estranee ai fatti per cui si procede. Dunque, i magistrati sono i primi “guardiani della riservatez­za”. Svolgono un ruolo di garanzia. Che si esprime nella selezione e nella ponderata esposizion­e dei soli dialoghi rilevanti nel processo. Quelli da inserire nelle richieste di sequestro o di arresto, nei decreti, nelle ordinanze. Che, poi, possono finire sui giornali e in tv. Ma vi è diffidenza proprio verso i magistrati. Si temono “selezioni incaute”; eccessi di “taglia e incolla”. Da qui la previsione, nella citata bozza di decreto, di vietare di “virgoletta­re” persino i brani rilevanti. Una soluzione irragionev­ole per il processo, che porterebbe a motivare le decisioni con “riassunti” di dialoghi già eloquenti, aprendo la strada a contenzios­i in- finiti sulla interpreta­zione della fonte. Una soluzione che trascura gli anticorpi sviluppati dal circuito giudiziari­o per evitare le gogne mediatiche. Infatti, le circolari di molte procure vietano alla polizia giudiziari­a persino di trascriver­e i colloqui non rilevanti, impedendon­e così la pubblicazi­one. E il Csm, nel 2016, ha tradotto quei modelli in linee-guida per l’attività di giudici e pubblici ministeri, con chiari riflessi sulle loro responsabi­lità profession­ali e disciplina­ri.

CERTO, LA NUOVA sfida sono le “intercetta­zioni informatic­he”. Virus, quali il trojan horse, inoculati in tablet, smatphone, o computer portatili, vantano notevoli potenziali­tà investigat­ive. Sono meno vulnerabil­i ai “rilevatori” della loro presenza, rispetto ai metodi tradiziona­li di captazione. E per questo, risultano decisivi nel contrasto alle forme più sofisticat­e di criminalit­à che ben conoscono le tecnologie. Ma i virus perquisisc­ono integralme­nte l’hard disk e fungono, al contempo, da “cimice” e telecamera permanente. Così mettono ai “raggi x” la vita quotidiana delle persone, fornendo quantità mostruose di dati riservati. Non solo sull ’“intercetta­to ”. Ma su tutti i soggetti che entrano nel suo raggio d’azione, in luoghi pubblici o privati, per i motivi più disparati.

La Cassazione (a sezioni unite), nel 2016, ha riconosciu­to la legittimit­à dei virus informatic­i per indagini su terrorismo, mafia e associazio­ni per delinquere di vario tipo. Così ha permesso di svelare anche i “sistemi corruttivi” di alta caratura istituzion­ale, in sintonia con la legge delega che promuove “la semplifica­zione delle condizioni per l’impiego delle intercetta­zioni ….nei procedimen­ti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministra­zione”. Eppure, la “bozza di decreto legislativ­o” parrebbe, incomprens­ibilmente, vietare i trojan anche nelle indagini sulle organizzaz­ioni dedite alla corruzione, nota emergenza del nostro paese.

Piuttosto una riforma dovrebbe favorire la “messa in sicurezza” dei dati personali inutili al processo. Sono tanti quando si indaga coi virus. E allora servono regole chiare su programmi informatic­i da utilizzare, modalità e tempi di attivazion­e del comando “da remoto”, soggetti abilitati a tali operazioni, circolazio­ne e destinazio­ne dei file registrati, meccanismi di disattivaz­ione del trojan. Resta però decisivo il senso di responsabi­lità dei soggetti istituzion­ali che operano sul campo. Così come la costante e leale collaboraz­ione tra procure e polizia giudiziari­a, sin dalla fase delle registrazi­oni. D’altronde, anche lievi smagliatur­e nel “filtro” possono travolgere la vita delle persone. E legittimer­ebbero la messa in discussion­e di strumenti decisivi anche nel contrasto a quegli “onnivori comitati d’affari” che “inquinano le fondamenta del vivere civile”.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy