Il Fatto Quotidiano

Buratti ora è tornato: è sempre l’Alligatore ma morde di meno

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Ben tornato, ben ritrovato. Per chi ama i noir, “l’Alligatore” è uno dei primi personaggi del nuovo corso letterario italiano, nato a metà degli anni Novanta dalla fantasia, lettura attenta della quotidiani­tà, storia personale di Massimo Carlotto (tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta è protagonis­ta di un noto caso giudiziari­o sul quale ha scritto il suo primo libro); così l’Alligatore è da tempo entrato nel Gotha dei personaggi classici, uno dei parametri sui quali basare il giudizio rispetto a molti dei suoi colleghi.

Anche questo decimo capitolo della saga ( Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane, Edizioni e/o) gioca sui suoi temi soliti, in perenne equilibrio tra struttura e sovrastrut­tura, detto e ipotizzato, lasciato intendere, attualità, retroscena, complotto e certezza (un breve passaggio del libro è dedicato alla trattativa tra Stato e mafia); in lotta tra verità apparente e sostanza, tra valori criminali e neo gruppi di malavitosi, con uno Stato colluso o incapace di immettere nella società i giusti diaframmi.

I SUOI PERSONAGGI sono in leggera evoluzione rispetto al passato: invecchian­o, subiscono l’alcol, la solitudine, i dolori; sono sempre più disincanta­ti dalla vita, ma denunciano un po’ di stanchezza nei loro ruoli, come se lo stesso Carlotto gli avesse chiesto uno sforzo oltre il credibile, come se Marco Buratti, l’investigat­ore detto l’Alligatore, fosse una sorta di Daniel Craig ancora spinto a interpreta­re 007 per mera questione economica.

Manca un po’ di sorpresa quindi, nonostante in questo capitolo ci sia l’ennesimo scontro con Giorgio Pellegrini, il loro vero antagonist­a, già protagonis­ta di due bei libri di Carlotto extra-saga ( Arrivederc­i amore, ciao del 2001 e Alla fine di un giorno noioso del 2011), poi entrato nella vita dell’Alligatore da qualche “puntata”, una sorta di Immortale del male, in grado di sopravvive­re a scontri a fuoco, bande, avversità, vendette, fughe, e pure alla furia vendicatri­ce di Beniamino Rossini (storico partner di Buratti).

Lui, Pellegrini, alla fine c’è e in parte giustifica l’esistenza dell’Alligatore e company, mantiene la tensione, tanto da entrare tra le pagine con una prima persona inedita: in alcuni capitoli è lui a raccontare, a ribaltare i piani, a passare da mera contrappos­izione a protagonis­ta della vicenda; è lui a dettare i tempi, a portare un’ottica alternativ­a e una nuova energia agli intrecci.

RESTA la sensazione, sempre per restare in ambito cinematogr­afico, di un appuntamen­to oramai ineluttabi­le, come avviene con Woody Allen, non più ai li- velli degli anni Settanta, o dei successivi, ma sempre in grado di offrire un paio di battute (o più) a film in grado di far sorridere (non ridere) il fan; allo stesso modo non siamo più ai livelli dei primi noir dedicati all’Alligatore, capaci di squarciare un verosimile assolutame­nte inedito, ma comunque resta il piacevole richiamo nel ritrovare uno dei migliori personaggi nati, costruiti e raccontati negli ultimi v en t’anni di indagini ambientate nell’infinito sottobosco nostrano.

Twitter: @A_Ferrucci taliens. patron la tua

STAVOLTA nell’ultimo Mordenti e la sua squadra devono rincorrere gli assassini di Fred Céline, poliziotto motociclis­ta e compagno di Leila Santoni, una delle colonne di les italiens. Gli indizi latitano e la prima scena porta lontano da Parigi: a Royan, sulla costa atlantica. Leila sospetta una doppia vita sentimenta­le del povero Fred. Invece, lui era in contatto con una misteriosa donna vicina a un gruppo di studenti arabi. Insomma: siamo in estate, la festa nazionale del 14 luglio s’avvicina e si teme un devastante attentato. Pandiani però ci conduce nel lato oscuro del terrorismo islamico, dove complicità e convenienz­e spingono la destra estrema e fascista, ben oltre il borghese lepenismo di Marine, a favorire bombe e stragi innescate da fanatici del Corano. Un classico che in Italia abbiamo già visto alla fine degli anni sessanta, con la strategia della tensione per stabilizza­re il potere dc contro l’avanzata comunista.

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