Quarant’anni dopo le ideologie sono morte, gli sberleffi no
PMIRÒ A TORINO Da oggi fino al 14 gennaio a Palazzo Chiablese è aperta al pubblico “Mirò. Sogno e colore”, una raccolta di 130 opere, quasi tutti oli di grande formato, provenienti dalla Fondazione Pilar e Joan Mirò a Maiorca e realizzate dall’artista nel suo periodo più felice e fecondo, dal 1956 al 1983. L’esposizione è organizzata da Arthemisia, che a Palazzo Chiablese ha portato Tamara de Lempicka, Matisse e Toulouse-Lautrec iù della bellezza, il mondo lo salva chi non si prende sul serio. E infatti il mondo non si salva affatto. Vien da far pensieri così uscendo dal museo di Roma in Trastevere dopo aver visto “’77, una Storia di quarant’anni fa”, mostra allestita con gli scatti del fotografo Tano D’Amico e i lavori dell’artista Pablo Echaurren ( oltre al documentario I ndiani metropolitaniscritto da Claudia Salaris e diretto da Antonella Sgambati). Il contrasto – almeno negli occhi di chi quegli anni non li ha vissuti in prima persona – è a tratti evidente. Le foto di D’Amico (alcune celeberrime) restituiscono il volto dei Settanta come ancora percepito nel sentire comune: assemblee e sorrisi, occupazioni e desideri, slogan e cortei, ma anche – e soprattutto – lacrimogeni, volti incappucciati, manganelli e P38: il piombo che su quegli anni è rimasto impresso fin dal nome che comunemente si dà loro.
GLI INCHIOSTRI su carta in perfetto equilibrio tra Dada e Futurismo di Echaurren (per intenderci, l’artista che ha disegnato la copertina di Porci con le ali di Rocco e Antonia, il libro cult del 1977), sono la giusta interpunzione alla rappresentazione fotografica della realtà e ci riconsegnano la più irripetibile esperienza del ’77, l’anno in cui “i giorni valgono mesi e i mesi anni”: l’esplosione creativa (e perdente) degli “indiani metropolitani”, di quella cultura per una volta davvero “contro” che fece del ’77 rispetto al ’68 “il rumore contro lo spartito, Godere invece che Potere, Dromedario invece che Operaio”. Quella di Echaurren è la parte fresca del racconto, anche se – com’è inevitabile che sia – i visitatori sono altrettanto attratti dalle straordinarie immagini di D’Amico.
Fresco perché lo sberleffo (soprattutto l’autosberleffo) non passa mai di moda, a differenza delle ideologie obbligatorie. Vale ieri e vale oggi, per qualsiasi cosa. È una storia di estetica vera contro un’estetica di maniera, di fogli ciclostilati autoprodotti dagli Indiani ( Oask ?!, Abat/Jour, Wam) che si prendevano gioco degli slogan del movimento ricamando mondi surreali giocando con la parola scritta. Storie strepitose, come il volantino dall’improbabile layout con su scritto “Libertà per i compagni arrestati per aver diffuso questo volantino” distribuito ai militanti in piazza Navona: “Ma lo hai letto? – racconta Echaurren – chiedevamo ai compagni a cui lo davamo e che esprimevano convinta solidarietà. Lo stiamo distribuendo noi, ti pare che ci abbiano arrestato? Nulla, non c’era verso di farglielo capire”. Oppure il capolavoro della fanzine Il complotto di Zurigo : “Nell’Aula Magna della Sapienza c’era assemblea per protestare contro la chiusura di radio Alice a Bologna. Convincemmo tutti a solidarizzare anche con i compagni di Zurigo ingiustamente espulsi dal Cabaret Voltaire. Funzionò”. Il Cabaret Voltaire fu il locale culla del movimento dadaista tra il 1916 e il 1917.
IL 1977 – questo 1977 – morì sul fare dell’autunno e fu sepolto definitivamente nel 1978. Echaurren, nel maggio di quell’anno, è un redattore de Il Male. Aldo Moro è prigioniero delle Br, che diffondono la prima, celebre foto. Il giornale satirico, facendo il verso a uno spot allora in voga, la pubblica accompagnata dalla didascalia: “Scusate, abitualmente vesto Marzotto”: “Mi ribellai – ancora Echaurren – perché quella foto era il frutto di cinque uomini morti. Mi risposero che la satira non ha confini: vero, dissi io, allora datemi una striscia per fare satira su un qualunque compagno morto. Immaginate la reazione... Eravamo contro il carcere, gli eserciti e la pena di morte. Le Brigate Rosse erano tutto questo. Le Brigate Rosse hanno ucciso il movimento”. MILANO torna a omaggiare Caravaggio con venti capolavori: una mostra unica, non solo perché presenta opere provenienti dai maggiori musei italiani ed esteri ma, per la prima volta, le tele vengono accompagnate da innovativi apparati multimediali. Curata dall’esperta caravaggista Rossella Vodret, vuole raccontare da una prospettiva nuova gli anni della straordinaria produzione artistica di Caravaggio, attraverso due fondamentali chiavi di lettura: le indagini diagnostiche e le nuove ricerche documentarie che hanno portato a una rivisitazione della cronologia delle opere giovanili. HANS OP DE BEEK è il vincitore della XX edizione del Premio Pino Pascali. La commissione ha ritenuto la poetica espressiva dell’artista belga muoversi nel solco ‘pascaliano’ dei linguaggi multipli e delle contaminazioni spaziando tra scultura, pittura, video, teatro, musica, fotografia, scenografia. Le complesse installazioni mettono in scena la vita, intesa come il luogo dello smarrimento dell’io e della precarietà esistenziale. I temi universali della vita e della morte sono affrontati con sottile ironia fiamminga e velata malinconia.