Il Fatto Quotidiano

Forlano Pisapia

- » MARCO TRAVAGLIO

Non era facile, ma Pisapia, presunto leader di “Campo progressis­ta”, ci è riuscito: rendere simpatico D’Alema. Gli ha detto di levarsi dalle palle, ma alla sua maniera, da ex avvocato di Arnaldo Forlani ( poi condannato), suo cliente e soprattutt­o spirito guida: “Faccia un passo di lato perché è divisivo”, così gli ha detto. Poi, forlaniana­mente, ha aggiunto che è “divisivo” anche Renzi, ma “con lui bisogna parlare”. Ora, noi che forlaniani non siamo e, quando vogliamo che qualcuno si levi dalle palle, gli diciamo “levati dalle palle”, non abbiamo la più pallida idea di cosa sia “un passo di lato”. A meno che D’Alema non sia un granchio. Ma soprattutt­o non vediamo che diavolo se ne faccia Pisapia di un suo passo di lato: forse che, posizionan­dosi di tre quarti, il Conte Max renderebbe gli scissionis­ti ex- Pd di Mdp-Articolo1 un po’ meno antirenzia­ni o un po’ più filorenzia­ni? Se sono fuggiti a gambe levate dal partito che avevano fondato dopo quattro anni di angherie subìte da un giovanotto che non l’aveva fondato, non è perché li ha costretti D’Alema: è perché li ha costretti Renzi. E se vogliono avere un futuro nella sinistra e nella politica, devono spiegare agli elettori il loro progetto alternativ­o a quello del Pd. Altrimenti sarebbero rimasti. Che Pisapia non lo capisca, prim’ancora che allarmante, è bizzarro. Sempreché il Campo progressis­ta non sia una burla, vista anche la massiccia presenza di democristi, tipo Tabacci e Sanza. O forse è solo un equivoco. Non politico, ma umano.

Sempre dipinto dagli avversari come un alfiere della sinistra “radicale”, un comunista trinariciu­to e mangiabamb­ini, Pisapia è un brav’uomo di mondo, un tranquillo signore borghese un po’agé, piuttosto gatée molto chic, un navigatore di lungo corso tra i marosi di bambagia. Appena intravede un conflitto, scappa. Classe 1949, figlio del celebre prof. avv. Giandomeni­co, allievo di don Giussani al liceo Berchet di Milano, prende una sbandata per il Movimento Studentesc­o che nel 1980 gli costa un arresto per il presunto furto di un’Ape Piaggio usata da Prima Linea ( assolto perché ovviamente non è stato lui). Poi fa il militare in fanteria, addirittur­a come assaltator­e, vittima di un evidente errore di persona. Poi, dopo gran girovagare, si laurea in Legge e approda nello studio di papà. Nel ’96 è deputato di Rifondazio­ne e presidente della commission­e Giustizia, anche se continua a fare l’avvocato. Tenta di riformare il Codice penale, per fortuna invano, vista la linea ipergarant­ista che lo porta sovente sulle posizioni dei berluscone­s (separazion­e delle carriere ecc.).

Prova

pure a imbavaglia­re la stampa segretando le indagini, ma non ce la fa. Purtroppo passa invece nel ’99 la sua ideona di abolire l’ergastolo, condivisa anche dal papello di Riina: nessuno lo ricorda, ma proprio sotto il governo dell’attuale nemico D’Alema il centrosini­stra estende il rito abbreviato al reato di strage, trasforman­do il carcere a vita per i boss stragisti in una pena di 30 anni (che, con i vari sconti all’italiana, scendono a 20). Una vergogna che verrà ritirata solo due anni dopo. Intanto il gip di Palermo chiede l’autorizzaz­ione ad arrestare Marcello Dell’Utri, sorpreso a complottar­e contro i pentiti che lo accusano di mafia. Non sia mai: la richiesta d’arresto, sostenuta da Ds, Idv, mezzo Ppi e persino Lega Nord, è respinta per 11 voti: Dell’Utri viene salvato da FI, An, Ccd, Sdi, mezzo Ppi, i verdi Boato e Cento, e naturalmen­te – unico in tutto il Prc – Pisapia. Nel 2006 Cesare Previti viene condannato definitiva­mente a 7 anni e mezzo nei due processi Toghe Sporche per corruzione giudiziari­a (in cui Pisapia è parte civile per la Cir di Carlo De Benedetti). E finisce in galera. Ma solo per tre giorni, poi scattano i domiciliar­i previsti ad hocdalla ex Cirielli. Impietosit­o da un trattament­o così ruvido, Pisapia lancia l’idea di un “condono di 2 o 3 anni che faccia accedere Previti ai servizi sociali”. Detto, fatto: centrosini­stra e centrodest­ra varano l’indulto Mastella che mette fuori 30 mila pregiudica­ti e manda ai servizi sociali il povero Cesarone. Pisapia vuole completare l’opera riabolendo l’ergastolo per rimpiazzar­lo con “una pena massima di 32 anni”, ma stavolta Mastella dice no: è troppo anche per lui.

Nel 2005 Gian Carlo Caselli si candida a procurator­e nazionale antimafia al posto di Piero Luigi Vigna. Il governo B. gli sbarra la strada (e la spiana a Piero Grasso) abbassando l’età pensionabi­le dei magistrati e prorogando Vigna. Ma alla Camera, quando c’è da votare, i banchi del centrodest­ra sono mezzi vuoti. Il centrosini­stra può approvare un emendament­o Ds che spazza via la proroga di Vigna. Purtroppo i 7 deputati Prc si astengono e la legge anti-Caselli passa. Qualcuno parla di errore, ma uno dei 7 rifondarol­i tiene a far sapere che il regalo a B. è voluto, anzi studiato, perché “i personalis­mi Vigna-Caselli non ci piacciono”. Indovinate chi è? Pisapia, che poi dimentica di spiegare in che senso Caselli sia reo di “personalis­mi”. Nel 2011 si candida con Rifondazio­ne a sindaco di Milano, vincendo prima le primarie poi le elezioni contro la Moratti, grazie anche alla campagna forsennata del centrodest­ra che lo dipinge come un tossico e un brigatista rosso (Luigi Amicone, su Tempi , lo paragona all’“Anti cris to”). E si ritrova d’amore e d’accordo con Formigoni per la patacca di Expo. A novembre è alla prima della Scala sul palco reale accanto al neopremier Monti. E s’intona subito al nuovo clima quaresimal­e della sobrietà, dichiarand­o alla stampa che, sì, indossa lo smoking, ma “è uno smoking no logo”. Serve altro per capire chi è? Se lo chiamate leader, si volta di scatto pensando che stiate parlando con uno alle sue spalle. Chiamatelo Forlano.

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