“Un controllo così esteso non esiste in Europa”
Il garante Ue: “Legge fatta male e sproporzionata. Rischio incostituzionalità”
“Èun
tema complesso chevede la contrapposizione tra chi è a favore della privacy e chi è a favore del bene supremo dell'accertamento dei reati. Non è però questo il modo per dirimerlo”. Giovanni Buttarelli è il Garante europeo per la Privacy. “Ma parlo prima di tutto come magistrato: rispetto chi, negli uffici giudiziari, ha a che fare con difficoltà di ogni tipo. Forze di polizia e magistratura non sono equipaggiate con tutte le risorse tecnologiche per combattere certe categorie di crimine. E come Garante europeo, non giudico una scelta sovrana del Parlamento”.
Però?
Però non c'è molta discrezionalità per il legislatore nazionale dopo il trattato di Lisbona, dopo la ‘costituzionalizzazione’ della carta dei diritti e due pronunce della Corte di giustizia europea. Sorprende che un tema così delicato sia stato affrontato senza un dibattito. É stato come un elefante che entra in una cristalleria mentre il resto dell'Europa pondera attentamente ogni dettaglio.
Come funziona nel resto d’Europa?
Dopo le sentenze della Corte Ue, molti Paesi non conserva- no più i dati. Al massimo li tengono per poche settimane. Le pronunce della corte Ue, poi, riguardavano la direttiva europea sulla quale era basato anche il sistema italiano dei 12 mesi e dei 24 mesi. Nella recente legge tedesca, si fissa il limite a dieci mesi e c'è maggiore attenzione al tipo di reato per cui vengono usate le informazioni, alla loro conservazione, al rischio che siano oggetto di un attacco cyber. A Cardiff, durante un consesso delle forze di polizia, è stato fatto notare che in più del 90% dei casi l'interesse delle forze di polizia riguarda gli ultimi sei mesi di traffico. Alcune Corti costituzionali (Olanda, Romania e Germania) hanno annullato le leggi nazionali che si erano spinte oltre.
C’è il rischio che questa norma sia bocciata?
Queste leggi possono essere dichiarate incostituzionali come nei tre paesi che ho ci- tato e la commissione europea può portare lo stato membro dinanzi alla Corte di giustizia europea.
Bisogna intervenire? Credo che debba essere preso sul serio l'impegno del governo a porre rimedio. La data retention, così com'è, non è né sostenibile né difendibile sul piano internazionale. Obbligare tutti i gestori a raccogliere sistematicamente notizie su persone che non hanno nulla a che fare vedere con i reati è un approccio che l'Europa considera fuori dai propri principi. Anche perché oggi è il traffico, domani potrebbero essere le autostrade, la videosorveglianza, i droni. Sarebbe una vera sorveglianza di massa.
Il costo da pagare in termini di interferenza sui diritti della personalità e di etica pubblica non giustifica questo approccio.
Come dovrebbe essere una
gestione ottimale dei dati? Possono essere conservati fino a sei mesi e solo in caso di esigenze commerciali come la fatturazione. Se già gli utenti avessero una tariffa flat, bisognerebbe cancellarli. Bisogna conformarsi a questo trend. Anche se questo implicherebbe avere meno indizi per le indagini: è di questo che stiamo parlando, non di intercettazioni telefoniche, ma di dati in più a sostegno di una pista investigativa. L’allarme dei garanti è stato ignorato?
Sono tutti consapevoli del problema, ma si è vincolati al voler portare questo ddl all’approvazione prima della fine della legislatura. Se l’emendamento fosse stralciato, la legge dovrebbe ritornare alla Camera e i tempi si allungherebbero. C’è però il bisogno di adeguarsi all’indirizzo europeo: così, non è un buon biglietto da visita.
Per le indagini sono importanti gli ultimi 6 mesi di traffico. Alcune Corti costituzionali hanno annullato le leggi nazionali che spinge vano oltre