Il Fatto Quotidiano

QUANDO CI GUARDEREMO IN FACCIA?

- » LUISELLA COSTAMAGNA

Quando ci guarderemo in faccia? È la domanda che mi frulla in testa da quando è stato approvato il nuovo Codice Antimafia con la presunta equiparazi­one tra mafia e corruzione, generando commenti tipo: “Meglio qualche corrotto di uno Stato rotto”(Ilaria D’Amico da Floris a Dimartedì, gelo in studio); “Così si equipara l’attività degli imprendito­ri a quella dei delinquent­i” ( Pres. Confindust­ria Boccia).

QUANDO ci guarderemo davvero in faccia? Quando ammetterem­o che la corruzione è un’emergenza nazionale come la mafia, anzi – come ha scritto giustament­e Ingroia sul Fatto– “sono facce della stessa medaglia”? Non solo perché – come dimostra la brianzola Seregno (solo per citare l’inchiesta più recente) – le mafie hanno tolto la coppola e indossato il doppiopett­o e da Sicilia, Calabria, Campania si sono infiltrate al Nord, tra colletti bianchi, amministra­zioni pubbliche, banche, profession­isti, appalti; ma anche perché la corruzione produce, al pari, danni e drammi sociali immensi, uccide imprese, lavoratori, famiglie, sottrae denaro a tutti gli italiani (non a caso è “reato a vittima diffusa”) e investimen­ti dall’estero.

Un cancro che non conosce crisi: il Rapporto 2016 della Gdf ci ha detto che gli appalti irregolari sono più che triplicati in un anno e in tutto sono andati sprecati, per la gestione illecita di fondi pub- blici, 5,3 miliardi di euro. E sono solo i reati denunciati, senza contare l’enorme sommerso.

A fronte di tutto questo, nelle nostre carceri sovraffoll­ate, i detenuti che stanno scontando una pena definitiva per reati contro la Pa sono poche decine, per corruzione solo lo 0,6 per cento della popolazion­e carceraria, contro l’11 della Germania. Crucchi corrotti e italiani integerrim­i? Quale accaniment­o contro i colletti bianchi?

A questo deve servire il nuovo Codice Antimafia: a combattere meglio la mafia che si è fatta imprendito­riale e, insieme, la corruzione, applicando anche ai reati contro la Pa quegli strumenti che sono stati usati con successo contro il crimine mafioso, come il sequestro e la confisca dei beni.

Ed è qui, come si suol dire, che casca l’asino, perché, con buona pace di coloro che oggi s’inalberano contro la presunta equiparazi­one tra mafiosi e corrotti, va chiarito che, come ha spiegato bene al Fatto il pres. Anac Cantone: 1) già oggi è possibile applicare questa misura preventiva fuori dall’ambito mafioso, ed è stato fatto con la “Cricca degli appalti” e Villa Wanda di Gelli, casi rari ma esistenti; 2) col nuovo codice il sequestro preventivo dei beni a chi è indiziato per reati contro la Pa rischia anzi di essere più difficile, perché ci vorrà anche il reato associativ­o (associazio­ne a delinquere finalizzat­a a corruzione, concussion­e, peculato): complicato da individuar­e oltreché rarissimo; 3) c’è il rischio che questa misura diventi un “cavallo di Troia”: che invece di estenderla ai corrotti, si finisca col metterla in dubbio anche per i mafiosi.

INSOMMA, nel nuovo Codice ci sono sicurament­e aspetti positivi, ma quanto al punto più discusso dei sequestri, trattasi di un “grande bluff”– ancora Ingroia – che oltre che inutile rischia di essere pure dannoso.

Si calmino dunque quelli che lanciano anatemi: l’equiparazi­one corruzione- mafia non c’è, purtroppo. C’è solo un Paese che non vuole guardarsi in faccia.

MAFIA E CORRUZIONE Sono un’emergenza nazionale, ma nel nuovo Codice non sono purtroppo equiparate: si calmi chi lancia anatemi

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LaPresse Confische Agenti a Palermo

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