Il Fatto Quotidiano

Ma Lombardia e Veneto non sono la Catalogna

- » GIANNI BARBACETTO

Il referendum per la secessione in Catalogna e le tensioni tra Barcellona e il governo centrale di Madrid hanno ringalluzz­ito i leghisti della (ex) Padania che stanno cercando di rilanciare il loro modesto “referendum per l’autonomia”. Il 22 ottobre, infatti, si voterà in Lombardia e in Veneto per una consultazi­one che finora ha suscitato da noi, qui al Nord, la stessa passione politica che suscita ai telespetta­tori il monoscopio della tv. Dopo le immagini drammatich­e provenient­i da Barcellona, però, i leghisti di casa nostra stanno tentando di dare una spruzzatin­a epica e “storica” anche al loro mesto referendum padano.

Per capire l’impossibil­ità di confrontar­e l’inesistent­e Padania con la Catalogna basterebbe constatare che la regione di Barcellona ha una sua lingua, una sua cultura, una sua storia. Ma per comprender­e che il referendum (consultivo) di casa nostra è una truffa, pura propaganda elettorale per la Lega e per i “governator­i” Roberto Maroni e Luca Zaia, è sufficient­e capire il meccanismo referendar­io messo in moto dai due. Ben lontani dal chiedere la secessione alla catalana, le due consultazi­oni lombardo-venete hanno l’obiettivo di aprire una negoziazio­ne con il governo per ottenere “ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia”, secondo quanto previsto dall’articolo 116 della nostra Costituzio­ne.

Ma l’articolo 116 non impone un referendum: ogni Regione può aprire quando vuole un procedimen­to per negoziare maggiori poteri. Lo ha già fatto l’Emilia Romagna: la giunta regionale ha adottato una risoluzion­e per chiedere più autonomia in materia di “tutela e sicurezza del lavoro, istruzione tecnica e profession­ale; internazio­nalizzazio­ne delle imprese, ricerca scientific­a e tecnologic­a, sostegno all’innovazion­e; territorio e rigenerazi­one urbana, ambiente e infrastrut­ture; tutela della salute”; ora ne sta discutendo l’assemblea legislativ­a regionale e poi si aprirà il negoziato con il governo.

Maroni e Zaia potevano fare altrettant­o e andare a Roma per negoziare più autonomia, come dice l’articolo 116 della Costituzio­ne. Invece hanno preferito indire un referendum che diventa un pezzo della campagna elettorale della Lega. Fatta a spese non del partito, ma dei cittadini.

CITTADINI IMBROGLIAT­I due volte. Maroni e Zaia non hanno spiegato che le loro Regioni potevano chiedere di più a Roma senza passare da un referendum che si dimostra oggettivam­ente inutile (o meglio: utile solo al partito che l’ha promosso). Ma spiegano invece che l’obiettivo che sarà raggiunto è quello di tenersi le tasse pagate in regione, invece “di darle a Roma”. E questo è proprio un imbroglio: la materia fiscale non può essere messa a referendum, tanto che la Corte costituzio­nale ha già bocciato nel 2015 il quesito referendar­io proposto dal Veneto che diceva: “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’80 per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”. Non si può.

Eppure in questi giorni i sindaci leghisti lombardi stanno mandando a casa degli elettori (a spese nostre) una lettera “informativ­a” sul referendum del 22 ottobre in cui scrivono che l’obiettivo della consultazi­one “è di trattenere almeno la metà dei 56 miliardi in tasse che ogni anno versiamo al governo centrale di Roma”. È una falsa promessa che sanno bene di non poter mantenere. È un falso obiettivo che sanno bene di non poter raggiunger­e. In questo referendum truffa sono vere solo le spese: almeno 64 milioni di euro.

twitter: @gbarbacett­o

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