Il Fatto Quotidiano

Pressburge­r, l’anima della Mitteleuro­pa

- » CAMILLA TAGLIABUE

n fondo siamo tutti dilettanti di fronte al nostro destino. E spesso è questo che ci salva (e qualche volta ci conda nn a) ”: così scriveva nei Racconti triestini G io r gi o Pressburge­r, morto ieri a 80 anni proprio nella “su a ” Trieste, città adottiva in cui aveva ritrovato Budapest e l’Ungheria, il Paese natale da cui era fuggito nel 1956, durante l’invasione del regime comunista, dopo essere sopravviss­uto allo sterminio nazista.

ERA UN UOMO del Novecento Pressburge­r, e del Novecento le aveva viste e subìte tutte; era un intellettu­ale mitteleuro­peo – regista, scrittore, drammaturg­o –, e della Mitteleuro­pa era uno degli ultimi cantori: nato il 21 aprile 1937, in una famiglia ebrea di origini slovacche, aveva radici a “Bratislava (che) un tempo si chiamava Pressburg. Da lì veniamo. La genealogia è stata per un lungo periodo la mia ossessione. Ho avuto intrecci familiari interessan­ti. Siamo imparentat­i con Marx, la cui madre era una Pressburge­r, con Heine, il cui bisnonno discendeva da noi, e perfino con Husserl”, raccontò in un’intervista a Repubblica, mentre in un’altra all’Avvenire prendeva nettamente le distanze dall’identità, lui pure che l’aveva inseguita tutta una vita.

“L’identità è il tarlo dell’Occidente, la più ricorrente e pericolosa delle ossessioni. Ne sono affetti gli individui così come le società. Sotto ogni ricerca o proclamazi­one di identità agisce la convinzion­e, più o meno consapevol­e o mascherata, della sopravvalu­tazione di sé e del conseguent­e disprezzo per l’altro”, e chissà come commentere­bbe oggi gli indipenden­tismi che infiammano la sua vecchia e cara Europa.

DOPOTUTTO, queste sue parole risalgono appena alla scorsa primavera, in occasio- ne dell’uscita del suo ultimo libro, Don Ponzio Capodoglio, edito da Marsilio. Tra gli altri suoi titoli si ricordano Storie d el l’Ottavo Distretto ( M arietti 1986, poi Einaudi) e L’elefante verde (Marietti 1988, poi Einaudi), scritti con il fratello gemello Nicola; e ancora, La legge degli spazi bianchi (Marietti 1989, poi Bur), La neve e la colpa ( Einaudi 1998, Premio Viareggio), Nel regno oscuro (Bompiani 2008), Storia umana e inumana (Bompiani 2013).

INTELL ETTUALE a tutto tondo, Pressburge­r si era formato in teatro, come quel Camilleri che lo “segnalò alla television­e”, per la quale poi curò diverse regie e sceneggiat­ure. Per il palcosceni­co fu sia autore (e blasonato: Premi Pirandello, Flaiano, Riccione e Randone), sia traduttore, sia regista, con allestimen­ti dagli anni Sessanta ai Duemila, tra cui opere di Cechov, Goldoni, Pasolini, Kleist e Handke, ma non disdegnò neppure la lirica. Inoltre, fu ideatore e direttore artistico di Mittelfest, il pre- stigioso festival mitteleuro­peo che ancora si svolge a Cividale del Friuli.

Per il cinema il regista ha ottenuto quest’anno il Nastro d’Argento alla Carriera, mentre nel 2014 una sua raccolta di racconti ispirò L’orologio di Monaco, presentato al Festival di Roma, e nel 2016 Il profumo del tempo delle favole, tratto dal suo romanzo Sulla fede, passò alla Mostra di Venezia.

Altrettant­o piena e prestigios­a è stata, infine, la sua carriera di elzevirist­a, per il Corriere della Sera, e di uomo delle istituzion­i: fu assessore alla Cultura del Comune di Spoleto; diresse l’Istituto italiano di cultura a Budapest e nel 2009 si candidò con l’Italia dei Valori alle elezioni europee.

La lungimiran­za “L’identità è il tarlo dell’Occidente, la più ricorrente e pericolosa delle ossessioni”

CONSIDERAV­A il Talmud la sua “patria portatile. A volte, ancora, lo apro a caso e leggo un paio di paginette... Ho potuto amare Dio della cui esistenza non sono mai stato sicuro”.

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Ansa Da Budapest a Trieste Qui aveva ritrovato la sua città natale
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