Flavio Giurato, libero teatro immaginario
Adefinire Flavio Giurato “musicista di culto” o l’ultimo degli eccentrici, si rischia di fargli torto. Perché se c’è un artista sul quale è impossibile apporre targhette di riconoscimento, comprese quelle che vorrebbero sottolinearne l’unicità, è proprio questo romano sessantottenne. Flavio Giurato è Flavio Giurato, punto. Uno dei talenti più puri e visionari che il cantautorato italiano possa vantare, distillato in pochi preziosissimi lavori nell’arco degli ultimi quarant’anni. Il nuovo album Le promesse del mondo arriva a soli due anni dal precedente La scomparsa di Majorana, e per i ritmi produttivi di Giurato è un record. Un lavoro che fin dai primi ascolti tramortisce per l’intensità delle atmosfere e la densità dei testi, un vorticare caleidoscopico di suoni e soprattutto parole che si pone sullo stesso gradino di lontani capolavori degli anni Ottanta come Il tuffatore e Marco Polo.
C’È UN FILO a legare tra loro queste nuove canzoni: è il tema della migrazione. “Potrei definirlo un concept”, spiega l’artista, “ma in fondo il fenomeno migratorio è un pretesto per legare tra loro suggestioni e emozioni che mi hanno colpito in momenti diversi. C’è la migrazione che ci fanno vedere i tg, quella tragica e attuale dei barconi. C’è quella imposta sotto la canna del fucile, come nei Balcani. E c’è anche quella di me ragazzino, quando con la mia famiglia andammo in Argentina per seguire il lavoro di mio padre che faceva il diplomatico. Angolazioni diverse, senza un unico punto di vista. Lavoro come quei vecchi registi della commedia all’italiana, prendendo spunto dalla realtà ma senza voler necessariamente raccontare delle storie precise”.
La migrazione è superamento di confini, e ne Le promesse del mondo sono diverse le frontiere che vengono attraversate. Per cominciare quelle linguistiche: Giurato canta in italiano, in inglese (anticipando così il suo prossimo lavoro già in cantiere, Recent Happenings), in napoletano e in spagnolo (“uno spagnolo immaginifico, borgesiano, che riprende appunto i miei ricordi di gioventù”). Poi ci sono le barriere del manuale della bella-canzone-d’autore, limitazioni stilistiche che Giurato evita con scarti sintattici e poetici che spiazzano. L’utilizzo delle parole e delle frasi è spesso straniante, con un susse-