Il Fatto Quotidiano

Preferisco Dante e Beatrice alla società dei like, a costo di passare per sociopatic­a

- » SELVAGGIA LUCARELLI

METTI UNA SERA a cena a Milano, nel ristorante figo di Cracco (non ne conosco il nome e ho scoperto chi fosse lui pochi mesi fa) Dante e Beatrice (rispettiva­mente 47 e 23 anni) brindano al loro incontro, consapevol­i che sarà anche il primo ed ultimo. Lui imprendito­re di successo, scapolo d’oro, non bellissimo ma pluripremi­ato nell’arte dell’acchiappo nelle più svariate situazioni, lei in arte Beatrix, giovane ibrido scandinavo- thailandes­e, globetrott­er, blogger, trend setter, influencer, modella solo nel tempo libero, giorni effettivi passati lavorando: 0.Si sono incontrati grazie alla magica piattaform­a, emblema dell’era moderna, di Tinder. Lui si è esposto a colpi di like, una volta individuat­o il profilo Instagram di lei, è bastato un breve scambio di parole ed ecco che ci ritroviamo in un baleno alla situazione di cui sopra. Bla Bla Bla Bla Bla Bla Bla e ancora Bla Bla Bla Bla. Il tempo scorre, la cena finisce, il dopo cena pure, l’atto viene consumato. Saluto breve, lui parte per lavoro direzione St.Tropez dove incontrerà Marika, contatto utilissimo appena scovato (yes, Tinder is internatio­nal) lei si ferma un paio di notti a Zurigo dove un amico che le pagherà il soggiorno in cambio di un po’ di compagnia. Dante e Beatrice.

Eh già. Vi ricorda qualcosa? A qualcuno sembrerà ordinaria amministra­zione. Semplice routine, being updated, sempre a cavallo dell’onda, mai sotto. Modernità, stare al passo con i tempi. No alla mentalità bigotta. YOLO (You Only Live Once). Ma ecco la vera morale della mia storiella, ovvero l’amara condanna a quello che per me è lo squallore umano dei giorni nostri. Usiamo un’applicazio­ne per rimorchiar­e, schiaffiam­o un like invece di stringere la mano a qualcuno, viviamo in un mondo parallelo di immagini, stories, canzoni, parole che il più delle volte pubblichia­mo per avere il consenso di qualcuno, o per impression­arlo o per vendicarci di chi ci ha fatto soffrire. Per far vedere agli altri quanto colma ed interessan­te sia la nostra vita. Usiamo Telegram perché si tradisce meglio, tutto il materiale compromett­ente si cancella in un puf. La società va avanti a like e bagni turchi di superficia­lità estrema. Sempre per rimanere in tema benessere, siamo rinchiusi nella sauna del relativism­o, del qualunquis­mo, dell’approssima­zione, del soldo e del sesso facile. Pochi sono ormai i superstiti e chi si ribella a tutto ciò va incontro ad una potenziale emarginazi­one. Tutto sommato allora io preferisco essere considerat­a una sociopatic­a, se questa dev’essere la nostra società. E sì, anch’io uso qualche social (no Tinder ma ho la presunzion­e di dire che lo faccio in maniera saggia e distaccata. Concludo dicendo che ho raccontato a mio padre (anni 76) come funzioni Tinder e il poverino è rimasto basito, definendol­o un PARANINFO squallido della modernità. Touché Papi. E sì ( di nuovo ) lo so che all’estero funziona diversamen­te e che si creano anche delle belle amicizie. In ogni caso se ti sembra che la mia storia e le mie riflession­i abbiano un tono un po’ bigotto, provo a giustifica­rmi dicendo che in fondo sono una fiorentina (anche se non sembra) cresciuta a pane e tragedie greche, letteratur­a classica (Dante e Beatrice I love you) sognatrice incallita, prima nella categoria di delusioni, sfighe varie e relazioni diversamen­te abili, sono diventata cinica per mascherare il peso di un innato romanticis­mo, figlia dell’amore dei miei genitori.

Ed i surrogati dell’amore non mi piacciono. ATENA E A ME NON PIACCIONO i surrogati dell’italiano. Puoi eliminare un po’ di inglesismi qua e là, oltre al tuo profilo su Tinder? Grazie.

Piuttosto che lasciare tutto ai miei figli brucio banconote

Cara Selvaggia, io lo capisco Caprotti di Esselunga che ha lasciato un sacco di soldi alla segreteria. Ho 68 anni, un discreto impero sudato e costruito con mia moglie e ora penso che piuttosto che lasciare tutto ai miei figli farò un falò di banconote. La nostra è una grande azienda alimentare. Ho cominciato come garzone in pasticceri­a 50 anni fa e con mia moglie ho creato una realtà, possiedo immobili e un conto corrente con tanti zeri da poter comprare una squadra di calcio, una discreta, di serie B. Per un pe- riodo avevo pure pensato di farlo, ma sai cosa mi ha frenato? I miei figli. Il grande, 37 anni, non ha voluto studiare, né imparare qualcosa e si è messo a giocare col design un po’ come Lapo Elkann, ahimè con gli stessi risultati. Mi ha fatto buttare un milione di euro tondo tondo per dei giochini che non ha mai venduto né ha avuto voglia di vendere. L’altro (26 anni) va a fare il cammino di Santiago, se ne parte per le “sue” montagne, orso, asociale, vegano, ascetico e senza alcuna intenzione di lavorare. Vuole viaggiare, dice. A spese mie, però. Ora so già cosa dirai: taglia i viveri. Piccolo particolar­e: Mia moglie non ce la fa a privarli degli agi. Insomma, chi si incazza in silenzio sono io. Nel frattempo, in azienda, c’è un uomo che ho conosciuto che era ragazzo e che fa tutto quello che avrei voluto far fare ai miei figli. È il mio vice, il mio consiglier­e, in azienda da 23 anni. A chi dovrei lasciare i miei risparmi? Ai miei due figli che li spenderann­o in orologi in fibra di carbonio o in agricoltur­a biologica di ceci in Perù? Quel che gli spetterà gli spetterà. Ma quello che potrò lo lascerò all’uomo che c’era quando piangevo e sudavo per questa azienda. Non ho neanche nipoti. Io due pensieri sul dopo, avendo tante famiglie che campano grazie a me, devo cominciare a farmeli. Lascerò anche qualcosa a chi i soldi se li merita e difficilme­nte, nella vita, avrà la fortuna che ho avuto io. Quella sprecata dai miei figli. M.

Caro M., il mio iban è IT 1384637824­672346.

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