SCUSI MATTARELLA, MONITI AI LADRI MAI?
Un giorno un nostro amico dedito al travestitismo ci confessò che per meglio esercitare la sua passione non sapeva se scegliere la carriera di tenore, quella di drag queenin un locale notturno o quella di magistrato. A farlo desistere dall’ultimo proposito sono arrivate l’altroieri le parole nientemeno che del capo dello Stato: “La toga non è un abito di scena, non si tratta di un simbolo ridondante”, ha detto Mattarella ai 324 giovani vincitori del concorso per magistrati, i quali forse si aspettavano che il presidente della Repubblica e del Csm dicesse loro cose tipo “mandate in galera i corrotti, gli imprenditori criminali, i parlamentari che si rifugiano nell’immunità per perpetrare i loro furtarelli”. Macché. I poveracci manco si erano travestiti, che già sono stati monitati.
SULLA FALSARIGAdei suoi ammonimenti analgesici, del genere “non attraversare col rosso”, Mattarella ha declinato le sue ovvietà al contesto: i futuri magistrati sono pregati di non “perseguire né dare l’impressione di perseguire finalità estranee alla legge”. Poi gli è venuto un gran mal di testa e si è dovuto mettere a letto. Attenzione: non solo non perseguire, ma nemmeno dare l’i mpressione. Ignoriamo se esista un organo predisposto a registrare come un sismografo le eventuali impressioni che danno i magistrati, o se basta che qualcuno, incidentalmente indagato, si alzi la mattina e abbia l’impressione che il pm che lo indaga persegua finalità estranee alla legge per far scattare l’impressione. Ma come può un magistrato dare l’impressione di perseguire finalità non legali? Beh, si dirà, per esempio vendendosi le sentenze a uno come B., che attualmente conta due membri suoi dentro al Csm (senza ascrivergli i renziani). Risposta errata: lo fanno quando “elevano a parametro opinioni personali” ovvero quando “si fanno condizionare” dalla “attenzione dell’opinione pubblica rivolta all’azione giudiziaria”. Già c’è l’opinione pubblica che invece di farsi i fatti suoi “è rivolta”, poi ci si mettono pure i magistrati. Ma dove siamo, nel Congo belga? Finalmente qualcuno la dice tutta: l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati sono minacciate dai giudici che vanno in tv a dire quel che tutti sanno cioè che molti politici rubano, mica dalla presenza nel Csm di amici di politici condannati o indagati e di ex presidenti del Consiglio con padri indagati dai magistrati. Infine, prima che gli si scaricassero le batterie, Mattarella ha pronunciato il brocardo più famoso degli ultimi 30 anni (lo riportiamo nel caso non aveste letto le ultime 200 newsletter di Renzi): “I processi si fanno nei tribunali”.
Adesso: sappiamo tutti con chi ce l’aveva Mattarella (con Davigo, che è stato ospite del talk show di Floris, già perciò bastonato dal vice di Mattarella nel Csm, l’ex sottosegretario renziano Legnini); ma è stato lo stesso uno spasso, ieri, vedere i giornali grandi arrabattarsi nell’esegesi delle parole della Sfinge del Quirinale per affermare che era ora che qualcuno dicesse basta a queste toghe ridondanti, e chi si offende ha la coda di paglia.
Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e membro del Csm, dice al Corriere che il monito di Mattarella è “totalmente condivisibile” e per nulla “contro q ua l cu no ”, e soprattutto “tratteggia la figura del vero Magistrato”, che poi è “il magistrato che non eccede”. Del resto Palamara è uno talmente moderato che tempo fa disse: “Davigo ha l’obiettivo di annientare il Csm”.
Repubblica riporta la “smentita soft del Colle: il presidente parla in generale”, mentre La Stamparivela che sta per arrivare una “Circolare Procure” per mettere uno “stop all’anarchia”, dunque i magistrati devono “guardarsi allo specchio” e Mattarella non voleva “alimentare polemiche”; infatti nella stessa pagina c’è una dichiarazione di Cantone che auspica “più moderazione in merito alla presenza dei magistrati nell’ambito pubblico”.
NAPOLITANO era più metafisico: memorabili i suoi colpi di doppiette contro i magistrati incapaci di “rigore e equilibrio”, affetti “da comportamenti impropri e fuorvianti” o meglio “impropriamente protagonistici”, autori di “esternazioni esorbitanti” e soprattutto colpevoli di “guardare con diffidenza i politici”. Mattarella parte dal dettaglio; è metonimico; feticistico. È mutata l’aria da quando B. chiamava i giudici “plotone d’esecuzione”. Oggi c’è aria di “complotto”, di piano eversivo ordito da Woodcock- Fatto-Report -Davigo contro la nuova oligarchia gigliata.
La toga, quale parte del tutto, un cenciarello usato per “fare scena” da giovanotti ambiziosi che perseguono o danno l’impressione di perseguire finalità estranee alla legge, è il mantello dei nostri correi: il classico oggetto transizionale, direbbe Freud, per continuare a propinarci la ammuffita fake news che il problema dell’Italia è il famoso “intreccio tra politica e magistratura” e giammai quello tra politica e malavita.