Il Fatto Quotidiano

Sicilia, il silenzio di chi non sente l’odore della mafia

- » PETER GOMEZ

C’è chi è stato condannato in primo grado per corruzione elettorale e chi è accusato in quattro diversi processi di ben 22 capi d’imputazion­e. Qualcuno conserva invece nell’album di famiglia fotografie scattate sottobracc­io a boss che hanno fatto la storia di Cosa Nostra, oppure non esita a vantarsi, in pubblico e privato, della sua amicizia con figli di capimafia latitanti. Altri invece sono sempliceme­nte parenti di. Cioè hanno genitori dichiarati definitiva­mente colpevoli, congiunti indagati o familiari mandati alla sbarra.

Non è un bello spettacolo quello offerto dai candidati di tante liste che in Sicilia appoggiano gli aspiranti presidenti del centrodest­ra e del centrosini­stra. Sia Nello Musumeci che Fabrizio Micari hanno più volte ripetuto che le candidatur­e sporche non le volevano. Il risultato però non è stato pari alle attese. Ma se non stupisce che nella irredimibi­le Sicilia la cosa venga dai più sempliceme­nte considerat­a un accidente, come la grandine d’estate o il Capodanno che segue per forza al Natale, il discorso cambia se si guarda al resto dell’Italia. L’assenza pressoché totale di reazioni da parte di giornali, intellettu­ali, leader politici nazionali, ci consegna un Paese che pare tornato indietro di 30 anni. A un’epoca precedente rispetto alle stragi di mafia e all’inchiesta milanese di Mani Pulite.

ALLORA IL PROCURATOR­E Paolo Borsellino spiegava nei suoi incontri pubblici quali fossero a suo avviso i doveri di chi faceva politica. “C’è stata – diceva – una delega totale e inammissib­ile nei confronti della magistratu­ra e delle forze dell’ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia [...]. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergent­i con la mafia, però la magistratu­ra, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratu­ra può fare solo un accertamen­to giudiziale. Può dire, beh ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provincial­i avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenz­e da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, consideran­do il politico tal dei tali inaffidabi­le nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”. Parole chiare, utili per capire la differenza che corre tra il garantismo e l’indifferen­za complice.

Nelle aule di tribunale il garantismo è un dovere. Un imputato deve essere condannato solo se considerat­o colpevole al di là di ogni ragionevol­e dubbio. Meglio infatti dieci colpevoli fuori che un innocente in prigione. In politica devono invece scattare principi di elementare prudenza. Visto che il rischio mafia (e corruzione) è in Italia alto e le conseguenz­e le pagano tutti i cittadini, dalle liste vanno esclusi coloro i quali hanno amicizie discutibil­i, tengono comportame­nti non trasparent­i o ammiccano ai clan. Pretendere però che i nostri partiti lo facciano da soli è velleitari­o, lo sappiamo. Per questo lascia oggi l’amaro in bocca il silenzio di chi nei media, in Parlamento e nelle più alte istituzion­i repubblica­ne, potrebbe parlare. E invece tace o addirittur­a preferisce bacchettar­e e criticare chi osa proferir parola.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy