Banche, la soluzione alla stangata della Bce c’è già: in Parlamento
IMiliardi di euro: le sofferenze lorde delle banche italiane. Corrispondono a 1,3 milioni di insolventi eri è stata un’altra giornata di passione per i titoli bancari italiani, la quarta da quando la Bce ha deciso di proporre l’ennesima stretta ai criteri con cui le banche devono trattare i crediti deteriorati, scatenando la protesta di governo, banchieri, Confindustria e compagnia cantando. Dal 3 ottobre, l’indice di settore italiano ha perso il 5,4%, contro l’ 0,8% della Borsa e l’ 1 ,5 % dell’indice europeo (che monitora le 600 maggiori banche). La classe dirigente finge di svegliarsi e non vede che in Parlamento c’è la soluzione a portata di mano.
PER CAPIRE la posta in palio, serve un excursus. Negli anni post ingresso nell’euro, le banche, con la benevolenza della Banca d’Italia, hanno sostenuto a mani basse il boom del credito. La crisi del 2008 ha travolto l’euforia, ma i banchieri sotto l’occhio distratto di Via Nazionale hanno preso tempo sperando nella ripresa. Nel 2011-2012 è arrivata invece una seconda, pesante, recessione. E così oggi nelle Procure i vigilantes giurano di essere stati ingannati dai banchieri, che a loro volta giurano che tutto era alla luce del sole; e nei tribunali le aule sono intasate dalle cause ingaggiate dai creditori contro i debitori.
Dietro i 172 miliardi di “sofferenze”, ci sono 1,3 milioni di persone e imprese insolventi. Sommando anche il resto dei crediti deteriorati si arriva a 300 miliardi di euro. Considerando le famiglie, i garanti dei prestiti e i dipendenti delle imprese in difficoltà che rischiano di rimanere per strada si sale a 7-8 milioni di individui nella morsa della crisi. Gente con l’impresa in cattive acque o che non riesce a pagare la rata del mutuo.
La vigilanza impone agli istituti di “prezzare” i crediti deteriorati, tenendo anche conto delle garanzie (immobili e beni ipotecati). Le banche italiane hanno in bilancio le “sofferenze” in media al 37% del loro valore (i deteriorati al 50%), il resto è considerato una perdita che viene coperta con gli accantonamenti. Significa che su 172 miliardi, le banche contano di recuperarne 65. Per questo ogni intervento che porta a nuove svalutazioni delle sofferenze fa crollare i titoli. Quando Bankitalia ha svalutato brutalmente quelle di Etruria e le altre banchette salvate a fine 2015, in Borsa gli i- stituti hanno bruciato 42 miliardi di capitalizzazione. Poi c’è la Banca centrale europea. La vigilanza di Francoforte guidata dalla francese Danièle Nouy impone alle banche di liberarsi in fretta dei crediti deteriorati, cioè a sconto. Questo apre buchi nei bilanci e gli effetti su quelle italiane, che hanno il 30% dei mille miliardi di crediti deteriorati dell’eurozona, si vedono anche in questi giorni. Le perdite vanno poi coperte con costose ricapitalizzazioni. Chi compra le sofferenze? Più o meno solo i grandi fondi esteri specializzati, molti dei quali in prima fila nelle ricapitalizzazioni delle banche: acquistano in media al 20% e poi puntano a massimizzare il profitto affidando il recupero dei crediti a italianissimi riscossori che vivono inseguendo italianissimi debitori. Un microcosmo di una trentina di soggetti, più della metà neanche vigilati da Bankitalia, che nel solo 2016 hanno incassato 700 milioni di euro (dati Pwc) grazie a uno stuolo di studi legali e professionisti del settore che vivono sulla scia di una crisi infinita.
Il più grosso operatore è Dobank, la ex banca Uccmb, un gioiellino che Unicredit ha ceduto due anni fa al fondo americano Fortress per 300 milioni. Oggi ne capitalizza in Borsa 800, segno che il mercato è redditizio. Ma solo per i fondi: tutti gli altri ci perdono, famiglie, imprese, banche e Stato. Secondo i dati della Consulta nazionale antiusura, nel 2016 sono andati in asta 260 mila immobili, 450 mila negli ultimi 7 anni. Nei prossimi 3-4 anni finiranno nei tribunali altre 450 mila abitazioni anche grazie alle norme con cui il governo Renzi ha facilitato gli espropri nel tentativo di puntellare i bilanci bancari. Sta passando di mano il 7% della proprietà immobiliare nel silenzio più assoluto.
L’I MP R E ND I TO R E m i la n es e Giovanni Pastore, insieme a diverse associazioni (Confimprese e Favor Debitoris) ha trovato una sponda politica alla proposta di un “giu bil eo bancario” avanzata da Dino Crivellari, esperto banchiere per 15 anni a capo di Uccmb finché Unicredit non l’ha regalata a Fortress. Il meccanismo è semplice: invece di vendere a un fondo specializzato a 20 un credito di 100 prezzato a bilancio a 37 è giusto premettere al debitore di chiudere i conti pa- gando 37. Se offre meno, la banca è incentivata ad accettare grazie ad alcuni benefici fiscali. Il vantaggio in termini di costi sociali è evidente. Le banche non ci perdono e ci guadagna anche lo Stato perché le perdite degli istituti sui crediti vengono scontate dalle imposte. Secondo Crivellari, i 120 miliardi di accantonamenti finora effettuati hanno fatto perdere 60 miliardi di gettito all’Erario.
Nelle prossime settimane in Commissione Finanze alla Camera entrerà nel vivo, con le prime audizioni, la discussione dei disegni di legge sul giubileo bancario presentati da Giovanni Paglia (Si) e Antonio Marotta (Ncd), che fanno proprio l’idea di Crivellari. Per evitare abusi si limitano alle sole sofferenze nei bilanci al 2016. Sull’iniziativa c’è un consenso bipartisan: M5S è favorevole e presenterà un testo simile; d’accordo anche Mdp, Lega e, pare, Forza Italia. Solo il Pd non si è pronunciato. Bankitalia e Abi non faranno barricate e Paglia chiederà di calendarizzare il prima possibile il testo in aula. “Questo permetterebbe di far ripartire 7-800 mila imprese”, spiega Crivellari. Il governo lo sa?
Il meccanismo
Invece di svendere i prestiti ai fondi esteri, gli istituti potranno offrirli ai debitori al valore di bilancio: “Così ripartono 7-800 mila imprese”