“Così a 24 anni indago sulle mafie al Nord”
Telecamera e sito web, Elia Minari ricostruisce gli interessi delle cosche
“Ti
faccio vedere io! Se leggo qualcosa sul giornale ti vengo a prendere fino a casa!”. Da anni Elia Minari, studente di Giurisprudenza nato 24 anni fa a Reggio Emilia, riceve minacce di questo tipo da avvocati, amministratori locali e imprenditori, preoccupati di vedere il proprio nome pubblicato su cortocircuito.re.it , la versione online di un ex giornalino scolastico che Elia gestisceda quando aveva 16 anni.
L’uomo che lo sta minacciando si chiama Gaetano Blasco. Elia lo incontra, nel 2013, perché sospetta ci sia qualcosa dietro ai continui incendi dolosi a Reggio. Bla- sco perde la testa, ma qualche anno dopo le Procure confermano i sospetti di Elia: oggi Blasco è imputato nel maxi-processo Aemilia, accusato da alcuni pentiti di aver agito per la ’ndrangheta in Emilia.
“Quello che ho fatto io lo può fare chiunque – dice Elia – i dati da cui parto sono pubblici”. Misure catastali, delibere comunali, sentenze. “Il difficile è collegare i puntini, approfondire, fare le domande giuste”.
COME NEL CASO della prima inchiesta, nel 2009, quando Elia scopre, atti alla mano, che una nota discoteca di Reggio è in mano a personaggi legati alla ’ndrangheta.
“Non mi è mai arrivata una denuncia per quello che ho scritto – dice Elia –, solo avvertimenti per cercare di intimorirmi”.
Giornalista quasi per caso, anche perché, dice, “da grande voglio fare il giudice”. Paga le prime inchieste “coi soldi regalati dai nonni e dai genitori” e registra con la tele- camera “mezza scassata” dell’amico Federico.
PRESTO SI ACCORGONO di lui. Partecipa a convegni con Nino Di Matteo e Franco Roberti, viene ricevuto da Pietro Grasso. Nel 2012 lo invitano a un incontro pubblico con Graziano Delrio, all’epoca sindaco di Reggio Emilia. Ci si aspetta una passerella, invece Elia parla dei costi lievitati per la tratta del Tav Milano-Bologna che passa per Reggio. Delrio replica stizzito: “Hai dato delle notizie inesatte”, mentre una collaboratrice prega Elia di tagliare corto sull’argomento. Il caso viene ripreso dai giornali e dopo qualche giorno Delrio è costretto a scusarsi e ad ammettere l’errore.
Nel suo libro Guardare la mafia negli occhi (Rizzoli) si trovano dati, numeri, fatti, ma poco di quello che Elia ha passato durante gli anni delle inchieste. I genitori, una casalinga e un commerciante di vernici, spesso ci pensano su: “Avrebbero preferito mi occupassi di altro – spiega Elia – ma la cosa che mi ha spinto a continuare sono state le reazioni che suscitavano le mie inchieste”.
Ne è valsa la pena? “La morte di giornalisti e magistrati ha avuto senso solo se ha scosso le nostre coscienze. Dipende da noi: occorre partire dal proprio orto, io parto dal mio”.