Ferrante: la febbre per l’identità che i fan-lettori non sentono
Giacomo Durzi racconta l’anonimato della scrittrice acclamata da 5 milioni di persone
“S tare nell’ombra è un’espressione che non mi piace. Ho preferito pubblicare libri, senza sentirmi obbligata a fare la scrittrice. Finora non mi sono pentita”. Sullo sfondo di un porto cittadino americano va in scena la dichiarazione di intenti che ha contraddistinto la carriera ventennale della scrittrice italiana più conosciuta al mondo: Elena Ferrante.
CHI È ANDATO al cinema sa che stiamo parlando del docu-film Ferrante Fever. Nel film, girato da Giacomo Durzi, si analizzano l’insolito successo Oltreoceano della Ferrante, i romanzi che hanno conquistato oltre 5 milioni di lettori e la scelta della scrittrice di rimanere anonima. Se la fama di Elena Ferrante non fa più notizia, a essere interessante è che una napoletana, unico dato certo sull’autrice, sia riuscita a conquistare l’America. Epicentro del successo: New York City. È qui che un addetto ai lavori come Michael Reynolds ha spiegato che il pubblico americano considera molto poco gli autori che non siano di lingua inglese. Ma per Elena hanno fatto un’eccezione. Tanto che persino Hillary Clinton sul suo libro ha dichiarato: “È ipnotico. Finito il primo non riuscivo più a smettere”. Tra i fan dell’italiana che hanno partecipato al film anche lo scrittore Jonathan Franzen “invidioso, non dell’anonimato, ma del fatto che Elena non debba prendere parte al gioco mediatico che ruota intorno a un libro”.
Non poteva non essere coinvolta Ann Goldstein, la traduttrice inglese del miracolo Ferrante che si gode, senza eccedere, lo stare per una volta davanti i ri- flettori anziché sempre dietro le quinte. Sull’altra sponda dell’Oceano la misteriosa scrittrice ha conquistato anche l’attenzione di James Wood, uno di quei critici che concede recensioni a pochi eletti. A lei ha dedicato otto pagine sul New Yorker. “La Fer-
rante – ir o ni zz a Wood – è vittoriosa persino su Thomas Pynchon, scrittore americano che, al pari di Salinger, è stato sempre allergico ai riflettori”. A fronte del mistero che Elena rappresenta, Wood le riconosce una “nuda lucidità, in una scrittura che non conosce limiti”.
Soprattutto, però, il critico inglese ricollega la povertà e la violenza dell’amata Napoli di Elena ai lavori di Elsa Morante e al neorealismo di De Sica e Visconti, sino ai racconti brevi di Verga.
E a notare il suo modo particolare di raccontare Napoli è anche Roberto Saviano, che le riconosce il merito di esprimersi solo attraverso il contenuto dell’opera: “È questo il miracolo
dell’anonimato Ferrante”.
Nel film, Elena è descritta sin dagli esordi con L’Amore
proibito, da cui Mario Martone ha tratto un film che la stessa autrice ha definito “bello assai”, passando per I giorni dell’a bban
dono, fino alla tetralogia che l’ha consegnata al successo.
A dominare in tutti i suoi scritti sono donne di infinita bellezza e “frantumaglia”, relegate in un senso di perdita, soprattutto all’interno della famiglia.
“O resto Ferrante o non pubblico più”, così si conclude il docu-film, a dimostrazione che l’obiettivo di Durzi è sì dare un’idea del fenomeno nel mondo, ma anche difendere la sua scelta.
Hillary Clinton sui suoi libri: ‘Sono ipnotici, finito il primo non riuscivo a smettere’