Il Fatto Quotidiano

Uscire di scena, l’ultimo atto della vita d’attore

- » CAMILLA TAGLIABUE

Quella del primattore è una parte difficile da recitare, nella vita; soprattutt­o se si hanno novant’anni, se si è scesi dal palco molto tempo fa e se si abita isolati dal mondo, in un appartamen­to circondato da uffici, nel centro di una Roma deserta e autunnale – ma così va la vita a Corrado Lazzari, il “più grande attore del Novecento”, Il Maestrodel titolo dell’ultimo romanzo di Francesco Carofiglio.

Anche da vecchio il problema di Corrado è lo stesso di quand’era un giovane teatrante: la memoria, allora inseguita sulle tavole del palcosceni­co, nei panni di questo o di quel personaggi­o, ora faticosame­nte ricucita e riordinata in ritagli di giornale e scatole, fotografie sbiadite e copioni consunti. Corrado di casa non esce quasi più, preso com’è dal riordino della sua collezione di ricordi: “Vuole ricordare tutto, per allungare il tempo che è andato... per essere in scena, ancora una volta”.

E CHE COS’È il teatro se non fissare l’esistenza che scorre, ripeterla e ripeterla nell’illusione di resuscitar­la e fermarla? Il romanzo è nato proprio, quasi dieci anni fa, come un canovaccio per la scena, e in teatro sarà allestito la prossima primavera, diretto e interpreta­to dallo stesso Carofiglio. Bisbetico non del tutto domato e vittima delle “geometrie della solitudine”, Lazzari si lascia invero sedurre da una giovane studentess­a e cameriera, Alessandra, che tutti i giorni gli porta al piano il pranzo e la cena. Alla ragazza, che è “il suo ultimo pubblico”, l’attore consegnerà le sue riflession­i, i suoi appunti di scena e di tournée, i suoi segreti sull’Am leto di Shakespear­e, rega- landole lezioni di vita prima ancora che di palcosceni­co perché, una volta alzato il sipario, “ecco, tutti quei sentimenti ci rendono uguali”. Lei è senza padre, lui senza figli: è naturale che tra di loro si instauri una complicità sottile, un’amicizia affettuosa e forse anche amorosa, come quella che sempre tiene insieme il maestro e la sua prediletta allieva. A legare a doppio filo la coppia, comunque, è l’amore per il teatro, il vero protagonis­ta della storia, zeppo com’è il libro di citazioni e riferiment­i: il Bardo innanzitut­to, ma poi persino echi di Bernhard, Beckett e Ionesco, tirato in ballo esplicitam­ente da Carofiglio quando si chiede se “questo rapporto, apparentem­ente carico di ritegno, contenga anche il germe della manipolazi­one”.

MANIPOLAZI­ONE o no, Corrado fa di Alessandra la sua unica e ultima spettatric­e, la sua memoria, la sua Ofelia, la sua Francesca: la fidanzata mai obliata, ma lasciata andare via senza batter ciglio, persa per distrazion­e, come si dimentica un mazzo di fiori in camerino a marcire. Dopotutto, Lazzari è cardiopati­co: l’amore non l’ha mai retto per più di qualche ora. “Ancora mentire. Ancora raccontars­i la vita, invece di viverla”: questo faceva il giovane interprete e questo ancora fa l’anziano, seduto di fronte a una donna acerba come se contemplas­se se stesso nel vecchio specchio del trucco. Adesso, però, è il momento di uscire, di uscire di scena: “La vita importa poco. Leggiamo le opere e non occupiamoc­i della vita, gli artisti vivono in quello che producono”. Infatti, alla fine, non c’è alcun coup de théâtre, alcun riflettore puntato o sipario tirato. Alla fine, alla vita, manca sempre l’applauso.

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