Il Fatto Quotidiano

Gentiloni ci rimette la faccia per fare il bis a capo dell’inciucione di Matteo & Silvio

Premier non poteva dire di no al suo partito, Palazzo Chigi poi temeva il decreto

- » STEFANO FELTRI

Paolo Gentiloni non è Mario Monti: come il professore è arrivato a Palazzo Chigi per un insieme di circostanz­e irripetibi­li, ma non ha alcuna intenzione di trasformar­e il consenso di cui gode nei sondaggi in voti alle elezioni. Per questo il premier si permette scelte che gli verrebbero rinfacciat­e in campagna elettorale, come autorizzar­e voti di fiducia su una legge elettorale di cui aveva giurato di non occuparsi, che neppure è di iniziativa governativ­a. Anche in questo frangente Gentiloni ha applicato una prassi che ha ormai elevato a filosofia di sopravvive­nza: fare ( quasi) sempre quello che serve a Matteo Renzi, che è pur sempre il segretario del partito di maggioranz­a, il Pd, ma farla solo dopo aver ottenuto l’approvazio­ne di Sergio Mattarella.

Il capo dello

Stato non è il promotore della forzatura che l’opposizion­e a Cinque Stelle definisce “g olpe”. Ma ha scelto di avallarla con consapevol­ezza.

Dopo aver intimato più volte al Parlamento di uniformare per Camera e Senato quel rimasuglio di leggi elettorali sopravviss­uto alle sentenze della Corte costituzio­nale, oggi Mattarella non può certo bloccare una riforma che proprio quello scopo raggiunge. Certo, la procedura è una forzatura con pochi e orribili precedenti. Ma nella realpoliti­k del Quirinale è sempre meglio che trovarsi a gennaio, dopo la legge di Stabilità, con il governo che cambia le regole del voto per decreto e un Parlamento già delegittim­ato che deve votare la conversion­e in legge un attimo prima delle elezioni. O che neppure riesce a farlo, per i tempi o per la fronda, e gli italiani si trovano a votare con una legge provvisori­a su cui si dovrà pronunciar­e il nuovo Parlamento.

I silenzi del capo dello Stato sono stati spesso equivocati come prova di una sofisticat­a strategia. Cominciano a rivelarsi, però, per quello che forse sono sempre stati: una tacita approvazio­ne dello status quo, come dimostra la volontà di confermare Igna- zio Visco alla Banca d’Italia e di avallare gli attacchi del vicepresid­ente del Csm, Giovanni Legnini, a Piercamill­o Davigo.

GENTILONI, QUINDI, sa di avere la copertura di Mattarella e di muoversi in una direzione che è funzionale ai piani di Renzi. Anche perché Pd e Forza Italia sono già tarati su un unico scenario post elettorale nel 2018: la riconferma di Gentiloni a Palazzo Chigi. Certo, Renzi ci proverà fino all’ultimo a rivendicar­e il diritto di formare un nuovo governo, se il Pd risulterà il primo partito. Nessuno, neppure tra i renzia-

Gioco di coppia Come prima di ogni mossa, anche stavolta il presidente si è fatto autorizzar­e dal Quirinale

ni, crede a questo scenario. E allora Gentiloni ha tutto l’interesse a far passare una legge che può generare come unica maggioranz­a di governo quella disposta a sostenerlo. La prospettiv­a è così chiara che, a mesi dalle elezioni, sono già cominciate le trattative: il Pd vuole tenere il ministero degli Interni, con Marco Minniti, ormai un potere autonomo con cui è rischioso entrare in collisione, e il Tesoro, senza Pier Carlo Padoan ma con un tecnico di area (o con Carlo Calenda, che sta già facendo le prove). Il centrodest­ra, con pochi nomi spendibili, punterà agli Esteri e all’Istruzione. Su tutto il resto ci si metterà d’accordo facilmente, specie se chi ottiene meno posti nell’esecutivo può compensare con le tante nomine in arrivo a inizio 2018, dal vertice dei carabinier­i a quello della Cassa Depositi e Prestiti, ai Servizi segreti.

NESSUNO HA VOGLIA di turbare l’equilibrio e sforzarsi di immaginare uno scenario alternativ­o a quello di Gentiloni premier anche nel 2018. Antonio Tajani si gode la sua celebrità recente su giornali e tv, ma non ha intenzione di lasciare la poltrona di presidente del Parlamento europeo che ha inseguito a lungo per tentare di diventare il “Gentiloni di destra”, cioè l’uomo di Silvio Berlusconi in un negoziato di larghe intese. C’è già il Gentiloni originale, che alla destra va benissimo. Il tutto con la benedizion­e di Mattarella.

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Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella con il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Sullo sfondo, il ministro degli Interni, Marco Minniti
LaPresse Democristi­ani Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella con il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Sullo sfondo, il ministro degli Interni, Marco Minniti

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