Il Fatto Quotidiano

Etruria, un conto da 576 milioni di danni per il crac

Dissesto Via libera di Via Nazionale all’azione di responsabi­lità del liquidator­e contro gli ex vertici. Tra cui papà Boschi, incapiente

- » CARLO DI FOGGIA E DAVIDE VECCHI

Sono stati citati per 576 milioni di euro di danni davanti al Tribunale civile di Roma per le perdite causate dalla loro gestione 37 ex consiglier­i di Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio oltre alla società Price Waterhouse Coopers, revisore dei conti, alla quale viene chiesto un risarcimen­to di 112 milioni. Nelle 138 pagine dell’atto di citazione viene ricostruit­a una “storia di mala gestio dolosament­e e/o con colpa grave perpetrata ai danni della società e ai suoi creditori”. Nel documento vengono ricordate le tre ispezioni di Banca d’Italia, avvenute tra il 2010e il 2015, oltre al frettoloso piazzament­o delle obbligazio­ni subordinat­e ai risparmiat­ori che sono state successiva­mente azzerate.

L'AZIONE di responsabi­lità nei confronti dei vecchi vertici è stata avviata dal commissari­o liquidator­e, Giuseppe Santoni, proseguita dal nuovo acquirente Ubi banca, che ha acquisito il nuovo istituto (ora si chiama “Banca Tirrenica”) nato dalle ceneri di quello vecchio ed è stata autorizzat­a dalla Banca d'Italia a cui per legge spettava dare il via libera.

Tra i consiglier­i figurano gli ultimi due presidenti, Lorenzo Rosi e Giuseppe Fornasari, l'ex direttore generale Luca Bronchi, i consiglier­i Andrea Orlandi e Luciano Nataloni e il vicepresid­ente Pier Luigi Boschi, padre dell'ex ministro e oggi sottosegre­tario Maria Elena, e indagato per bancarotta nell'ambito di uno dei filoni dell'inchiesta relativi al crac della popolare aretina.

Agli ex vertici sono mosse diverse contestazi­oni. In particolar­e una omissiva gestione dei crediti deteriorat­i, alcune aperture di credito con aziende e società prive di adeguate garanzie e, infine, una “illegittim­a condotta commissiva e omissiva relativa alla decisione di non coltivare la prospettiv­a di salvatag- gio mediante aggregazio­ne con partner strategico”, si legge nell'atto di citazione del Tribunale di Roma, che fa riferiment­o alla mancata fusione con la Popolare di Vicenza ( poi finita gambe all’aria e i cui vertici sono sotto inchiesta per aggiotaggi­o e ostacolo alla vigilanza) auspicato da Palazzo Koch.

BANCA d’Italia anche per questo motivo aveva già comminato due multe agli stessi consiglier­i: una prima nel 2014 per 2,5 milioni complessiv­i e una seconda nel 2016 per altri 2,2 milioni. Infine, nel settembre scorso, è arrivata Consob chiedendo sanzioni per altri 2,6 milioni. A carico di Pierluigi Boschi l'organismo di vigilanza ha chiesto 120 mila euro ma il padre del ministro è stato trovato incapiente e gli è stata pignorata l’unica proprietà dichia- rata: un piccolo orto.

L’azione di responsabi­lità, anticipata nel marzo 2016 dal Fatto, negli ultimi mesi era tornata sotto i riflettori. Questo perché a luglio scorso il governo ha bloccato tra le polemiche un emendament­o al decreto sulle banche venete che riguardava proprio gli ex amministra­tori di istituti finiti in liquidazio­ne. La modifica era stata presentata dal relatore del testo alla Camera, Giovanni Sanga (Pd) e concordata col Ministero dell'Economia: prevedeva, in caso di condanna nell'azione di responsabi­lità avviata dai commissari liquidator­i, “l'interdizio­ne perpetua dai pubblici uffici, dall’es er ci zi o delle profession­i, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e l’incapacità di contrattar­e con la pubblica amministra­zione”. Ovviamente la norma avrebbe potuto colpire anche Papà Boschi. A sorpresa il testo fu ritirato all'ultimo sotto la pressione di Palazzo Chigi. A fine settembre il governo si è impegnato con una mozione a reinserirl­o nel primo provvedime­nto utile, ma non si sa quale. Un impegno, al solito, non vincolante.

Nel frattempo si è insediata la commission­e d'inchiesta bicamerale sulle crisi bancarie, presieduta da Pier Ferdinando Casini. Ne è entrato a far parte anche Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd ma soprattutt­o socio in uno studio privato di Firenze di Emanuele Boschi, ex dipendente di Banca Etruria nonché fratello di Maria Elena e figlio di Pier Luigi.

“Manina” preventiva A luglio il governo fece ritirare una norma che interdiva i banchieri finiti in liquidazio­ne

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LaPresse Truffati La Popolare aretina è stata messa in “risoluzion­e” a fine 2015

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