Ci fanno pagare pure i sacchetti “bio” della frutta
Dal 2018 normativa più stringente anche per i sacchetti dell’ortofrutta, fino ad oggi gratuiti
Un passo avanti verso la riduzione della plastica, un ennesimo passo indietro per la tutela dei consumatori, costellata di sòle e stangate. A partire dal 1° gennaio 2018 anche i sacchetti per gli alimenti sfusi diventeranno biodegradabili e compostabili. A prevederlo è il decreto legge Mezzogiorno (91/2017), su richiesta dell’Unione Europea, secondo cui anche le buste leggere e ultraleggere con spessore inferiore ai 15 micron dovranno essere prodotte con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40% (dal 2020 questo tasso salirà al 50% e dal 2021 al 60%). Bene, benissimo. È certamente un percorso virtuoso per l’ambiente e per l’economia circolare. Ma, visto che tutto ha un costo, quello per queste buste di plastica trasparenti (con o senza manici) – che, per intenderci, si trovano al bancone della frutta, della verdura, in pescheria, macelleria, panetteria o gastronomia e sui cui si appiccicano gli scontrini dopo aver pesato la merce - non solo ricadrà totalmente sui consumatori, ma non ci sarà neanche un’alternativa per ovviare all’ennesima beffa.
EVIDENTE la fregatura. Alla prima rivoluzione che dal marzo 2012 ha messo al bando i sacchetti in polietilene (che restano nell’ambiente da un minimo di 15 anni a un massimo di mille inquinando mari, fiumi e boschi), le famiglie hanno avuto la possibilità di rifiutarsi di spendere fino a 15 centesimi in più a busta portandosene una da casa o utilizzando altre shopper bag in cotone. Ma tra due mesi e mezzo la fatidica domanda che i cassieri rivolgono ai clienti - “Vuole la busta?” - non potrà essere fatta nel caso dei sacchetti monouso, visto che per questione di igiene (con il loro riutilizzo si potrebbe rischiare la veicolazione di eventuali germi e batteri), mele, pere, spigole, mozzarelle o cicoria andranno messi obbligatoriamente nella bustina fornita dal negozio o dal supermercato. Una, ovviamente, per ogni prodotto che si acquista.
E i conti sono presto fatti: in base a dati che circolano in questi giorni – e che produttori, retail e federazioni coinvolte non smentiscono – si tratta di sborsa retrai2 e i 10 centesimi in più a sacchetto per qualcosa che fino ad oggi è stato sempre gratuito. Una sostanziosa manciata di quattrini che andranno ad aggiungersi ai 10/15 centesimi che già si spendono per acquistare i sacchetti bio più grandi. Insomma, un giro d’affari notevole. Secondo una stima dell’Osservatorio di Asso bi o plastiche, nel 2016 sono stati consumati quasi 8 miliardi di sacchetti per il confezionamento di alimenti sfusi, tra quelli dell’ortofrutta e quelli per l’imballo di carne, pesce o pane. Ora, sottolinendo che lo scopo nobile di questa normativa è sco- raggiare i consumatori ad abusare dei sacchetti per il rispetto dell’ambiente (dal momento che le bustine sono state sempre fornite gratuitamente si può ipotizzare che lo spreco sia decisamente alto), le istituzioni europee nella direttiva 2015/720 hanno imposto “la fissazione del prezzo, imposte e prelievi e restrizioni alla commercializzazione”, precisando però che è possibile prevedere l’esonero proprio per questi sacchetti. Mentre nel dl Mezzogiorno è riportato che “le nuove buste non potranno essere distribuite gratuitamente e il prezzo di vendita dovrà risultare dallo scontrino o dalla fattura di acquisto delle merci”. Chiara, quindi, la volontà dell’Ue: responsabilizzare i consumatori, ma non imporgli una spesa che altrimenti sarebbe impossibile evitare. Un obbligo che non piace neanche a Coop. “Siamo fortemente contrari sia per un aspetto etico nei confronti dei consumatori sia perché – spiega il direttore qualità Renata Pascarelli – è molto complicato far pagare i sacchetti. Non abbiamo ancora trovato una soluzione”.
IN ATTESA che le istituzioni facciano chiarezza su questo assurdo esborso che rischia di essersi già t ra sf or ma to in una speculazione dagli evidenti guadagni, c’è una certezza: guai a quanti non si adegueranno alla norma. In caso di trasgressione per il negozio o il supermarket, infatti, sono previste multe che partono da 2.500 euro e arrivano a 100mila nel caso in cui la violazione dovesse riguardare un ingente quantitativo di buste oppure se il valore dei sacchetti fuori legge è superiore al 10% del fatturato del trasgressore. Proprio come accade già con le buste ecologiche più grandi.
Tetto che, tuttavia, secondo Legambiente, non è comunque servito a limitare la circolazione di quelli inquinanti. Secondo u n’i n da g in e pubblicato nel 2016, infatti, il 50% dei sacchetti monouso per la spesa che circolano in Italia sono illegali, con il racket di questi finti sacchetti biodegradabili che continua a generare un volume d’affari di circa 40 mila tonnellate di plastica che costa alla filiera una perdita di 160 milioni di euro, di cui 30 milioni solo per evasione fiscale e un aggravio dei costi di smaltimento dei rifiuti quantificato in 50 milioni di euro.
La posizione di Coop ”Siamo contrari all’imposizione ma non abbiamo ancora trovato una soluzione”