Il Fatto Quotidiano

Ci fanno pagare pure i sacchetti “bio” della frutta

Dal 2018 normativa più stringente anche per i sacchetti dell’ortofrutta, fino ad oggi gratuiti

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

Un passo avanti verso la riduzione della plastica, un ennesimo passo indietro per la tutela dei consumator­i, costellata di sòle e stangate. A partire dal 1° gennaio 2018 anche i sacchetti per gli alimenti sfusi diventeran­no biodegrada­bili e compostabi­li. A prevederlo è il decreto legge Mezzogiorn­o (91/2017), su richiesta dell’Unione Europea, secondo cui anche le buste leggere e ultralegge­re con spessore inferiore ai 15 micron dovranno essere prodotte con un contenuto minimo di materia prima rinnovabil­e di almeno il 40% (dal 2020 questo tasso salirà al 50% e dal 2021 al 60%). Bene, benissimo. È certamente un percorso virtuoso per l’ambiente e per l’economia circolare. Ma, visto che tutto ha un costo, quello per queste buste di plastica trasparent­i (con o senza manici) – che, per intenderci, si trovano al bancone della frutta, della verdura, in pescheria, macelleria, panetteria o gastronomi­a e sui cui si appiccican­o gli scontrini dopo aver pesato la merce - non solo ricadrà totalmente sui consumator­i, ma non ci sarà neanche un’alternativ­a per ovviare all’ennesima beffa.

EVIDENTE la fregatura. Alla prima rivoluzion­e che dal marzo 2012 ha messo al bando i sacchetti in polietilen­e (che restano nell’ambiente da un minimo di 15 anni a un massimo di mille inquinando mari, fiumi e boschi), le famiglie hanno avuto la possibilit­à di rifiutarsi di spendere fino a 15 centesimi in più a busta portandose­ne una da casa o utilizzand­o altre shopper bag in cotone. Ma tra due mesi e mezzo la fatidica domanda che i cassieri rivolgono ai clienti - “Vuole la busta?” - non potrà essere fatta nel caso dei sacchetti monouso, visto che per questione di igiene (con il loro riutilizzo si potrebbe rischiare la veicolazio­ne di eventuali germi e batteri), mele, pere, spigole, mozzarelle o cicoria andranno messi obbligator­iamente nella bustina fornita dal negozio o dal supermerca­to. Una, ovviamente, per ogni prodotto che si acquista.

E i conti sono presto fatti: in base a dati che circolano in questi giorni – e che produttori, retail e federazion­i coinvolte non smentiscon­o – si tratta di sborsa retrai2 e i 10 centesimi in più a sacchetto per qualcosa che fino ad oggi è stato sempre gratuito. Una sostanzios­a manciata di quattrini che andranno ad aggiungers­i ai 10/15 centesimi che già si spendono per acquistare i sacchetti bio più grandi. Insomma, un giro d’affari notevole. Secondo una stima dell’Osservator­io di Asso bi o plastiche, nel 2016 sono stati consumati quasi 8 miliardi di sacchetti per il confeziona­mento di alimenti sfusi, tra quelli dell’ortofrutta e quelli per l’imballo di carne, pesce o pane. Ora, sottolinen­do che lo scopo nobile di questa normativa è sco- raggiare i consumator­i ad abusare dei sacchetti per il rispetto dell’ambiente (dal momento che le bustine sono state sempre fornite gratuitame­nte si può ipotizzare che lo spreco sia decisament­e alto), le istituzion­i europee nella direttiva 2015/720 hanno imposto “la fissazione del prezzo, imposte e prelievi e restrizion­i alla commercial­izzazione”, precisando però che è possibile prevedere l’esonero proprio per questi sacchetti. Mentre nel dl Mezzogiorn­o è riportato che “le nuove buste non potranno essere distribuit­e gratuitame­nte e il prezzo di vendita dovrà risultare dallo scontrino o dalla fattura di acquisto delle merci”. Chiara, quindi, la volontà dell’Ue: responsabi­lizzare i consumator­i, ma non imporgli una spesa che altrimenti sarebbe impossibil­e evitare. Un obbligo che non piace neanche a Coop. “Siamo fortemente contrari sia per un aspetto etico nei confronti dei consumator­i sia perché – spiega il direttore qualità Renata Pascarelli – è molto complicato far pagare i sacchetti. Non abbiamo ancora trovato una soluzione”.

IN ATTESA che le istituzion­i facciano chiarezza su questo assurdo esborso che rischia di essersi già t ra sf or ma to in una speculazio­ne dagli evidenti guadagni, c’è una certezza: guai a quanti non si adeguerann­o alla norma. In caso di trasgressi­one per il negozio o il supermarke­t, infatti, sono previste multe che partono da 2.500 euro e arrivano a 100mila nel caso in cui la violazione dovesse riguardare un ingente quantitati­vo di buste oppure se il valore dei sacchetti fuori legge è superiore al 10% del fatturato del trasgresso­re. Proprio come accade già con le buste ecologiche più grandi.

Tetto che, tuttavia, secondo Legambient­e, non è comunque servito a limitare la circolazio­ne di quelli inquinanti. Secondo u n’i n da g in e pubblicato nel 2016, infatti, il 50% dei sacchetti monouso per la spesa che circolano in Italia sono illegali, con il racket di questi finti sacchetti biodegrada­bili che continua a generare un volume d’affari di circa 40 mila tonnellate di plastica che costa alla filiera una perdita di 160 milioni di euro, di cui 30 milioni solo per evasione fiscale e un aggravio dei costi di smaltiment­o dei rifiuti quantifica­to in 50 milioni di euro.

La posizione di Coop ”Siamo contrari all’imposizion­e ma non abbiamo ancora trovato una soluzione”

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