SE ROMA PASSA DA SERRAJ AD HAFTAR
In rotta col premier di Tripoli con cui Minniti aveva stretto accordi contro i barconi
Lo si può dire con parole più gentili ma la sostanza è quella: la politica italiana ed europea in Libia è in pezzi. Uno dopo l’altro sono venuti meno i puntelli che dovevano sorreggerla. La cosca che aveva promesso a Roma collaborazione è stata sopraffatta da due cosche rivali. E la disponibilità al compromesso del generale Haftar, il nemico che l’Italia aveva cominciato a blandire, si sta rivelando un’illusione. Martedì Haftar è apparso in tv e ha raccontato di controllare ormai il 96% della Libia, insomma tutto il Paese tranne la zona di Tripoli; e se cre- diamo al generale, anche per Tripoli sarebbe ormai solo questione di settimane, dato che già nei prossimi giorni potrebbe cadere al-Zawiya, alle porte della capitale. A quel punto il governo del premier al-Serraj sul quale l’Italia aveva puntato, cesserebbe di esistere. Haftar è un noto millantatore e bisogna dubitare di quel che dice; ma di sicuro sta riuscendo nel compito che Egitto ed Emirati arabi gli avevano affidato, e cioè sabotare i timidi tentativi delle Nazioni Unite per consolidare una qualche autorità legale in Libia.
Quel che aspetta l’I ta li a nel caso la Libia sprofondi definitivamente nella condizione di stato fallito in piccola parte lo anticipavano ieri gli ordini di cattura emessi da Catania per un traffico di petrolio rubato dalle milizie libiche e venduto via Malta ad acquirenti italiani. Come il petrolio, così esplosivo, armi, guerrieri dell’Isis o carichi di droga potrebbero agevolmente raggiungere l’I ta li a dalla costa del caos. Inoltre Roma resterebbe sotto il costante ricatto delle bande che trafficano migranti e delle milizie che gravitano sui territori dove l’Eni ha tubi e pozzi. Ma nell’immediato sono soprattutto i migranti che farebbero le spese dell’a na rchia militare. Ve ne sono 20.500 soltanto sulla costa di Sabratha, stima l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, tutti detenuti in condizioni disastrose; di questi, 14.500 sono nei campi di concentramento ufficiali, gestiti da milizie filo- governative; e 6.000 in lager privati, in mano a bande incontrollate. Non pochi sarebbero i bambini che avrebbero perso contatto con i genitori e gli adolescenti che viaggiavano da soli. Il fatto che l’Alto commissariato stia riuscendo a raggiungere e soccorrere parte di questi sventurati, in particolare quelli abbandonati a se stessi da quando la milizia che li deteneva è stata costretta alla fuga dalle cosche rivali, è una buona notizia. Ma resta il fatto che finché per loro non si aprirà una strada per l’Europa o per un ritorno nelle rispettive patrie, resteranno in balia dell’infido caos libico.
Di fronte a queste pessime prospettive nel governo italiano pare crescere la tentazione di mollare il premier al
I 20 mila migranti nei campi e nei lager pagano il caos libico Nel governo italiano cresce la tentazione di puntare sul rivale
Serraj per salire sul carro del suo nemico, appunto Haftar, con un cambiamento di fronte così repentino da ricordare un vecchio motto: l’Italia non finisce mai una guerra dalla parte in cui l’aveva cominciata. Ma il problema non è tanto una nostra giravolta, quanto la personalità di Haftar e quel che si muove dietro di lui. Candidato a un ordine di cattura della Corte penale internazionale per crimini vari, Haftar è uno strumento di quella Santa Alleanza di teste coronate e caste militari di cui Egitto ed Emirati forniscono il braccio operativo in Libia. La Santa Alleanza ha un obiettivo ideologico, eliminare qualsiasi tentativo di democrazia nei Paesi arabi. Ha avuto successo in Egitto, ha fallito in Tunisia (ma la partita è aperta), sta riuscendo in Libia, dove la vittoria garantirebbe il controllo dei giacimenti di gas e di petrolio, un grandioso bottino. Gli europei non hanno un progetto comune e sono in competizione tra loro. Finora il loro contendersi i favori di al-Sisi e Haftar è parso mettere in scena una nemesi: gli ex colonialisti nel ruolo di untuosi mercanti di tappeti che scalciano e sgomitano per baciare le babucce degli ex colonizzati. Averne consapevolezza sarebbe già un primo passo per tentare di sottrarre l’iniziativa a chi vuole una Libia in tocchi.