Il Fatto Quotidiano

IL PAESE A SOVRANITÀ CONFISCATA

- » ANTONIO ESPOSITO

In un Paese normale – dopo la schiaccian­te vittoria del No al referendum del 4 dicembre che ha evitato l’approvazio­ne di una legge di riforma della Costituzio­ne che riduceva pericolosa­mente gli spazi di democrazia rappresent­ativa – ci si sarebbe aspettato che si verificass­ero due conseguenz­e: la prima è che il segretario del partito di maggioranz­a – che aveva ispirato e fortemente voluto l’indecente riforma e aveva personaliz­zato il referendum confermati­vo dividendo il Paese in buoni (quelli per il Sì) e in cattivi (quelli per il No) e paventando, mendacemen­te, catastrofi politiche, economiche e finanziari­e, in caso di vittoria del No – doveva essere buttato fuori per sempre dalla scena politica che aveva conquistat­o con l’impostura di presentars­i come il “rottamator­e” della politica e della casta mentre era vero esattament­e il contrario.

La seconda è che ci si aspettava l’a pp rovazione di una legge elettorale che restituiss­e ai cittadini il diritto, cos tituzi onalme nte riconosciu­to, di scegliere i propri rappresent­anti, così rispettand­o, da un lato, la volontà degli elettori e, dall’altro, le decisioni del Giudice delle Leggi che ha, come è noto, per ben due volte, dichiarato costituzio­nalmente illegittim­e le leggi elettorali (di cui l’ultima approvata con voto di fiducia di “mussolinia­na” memoria e alla stregua della legge-truffa del ’53). Che cosa è, invece, accaduto in un Paese molto poco normale ? È accaduto che è ancora il finto rottamator­e a distribuir­e le carte, non solo facendosi promotore della peggiore legge elettorale di sempre – che attraverso le liste bloccate, il divieto del voto disgiunto, le pluricandi­dature, dà luogo a un Parlamento di “nominati” – quanto ha ordinato, ancora una volta, di porre un improprio voto di fiducia su tale legge trasforman­dolo in un mero espediente tecnico finalizzat­o a mettere il bavaglio all’opposizion­e e, comunque, a confiscare la sovranità politica dei parlamenta­ri, giungendo, perfino, a seguito dell’esito sul voto di fiducia, alla protervia di esultare: “Quando facciamo all-in vinciamo. Basta avere co- raggio”. Ci si domanda quale sia l’obiettivo dell’ambizioso segretario del Pd: lo scopo è duplice; da un lato, evitare a tutti i costi la possibilit­à di un incarico da parte di Mattarella al candidato-premier del Movimento 5 Stelle, dall’altro assicurars­i la fedeltà della stragrande maggioranz­a dei parlamenta­ri da lui stesso designati, sì da restare il padrone unico del partito (nulla importando­gli di portare il partito alla sicura sconfitta elettorale) e tentare – dopo aver distrutto i valori della sinistra e determinat­a la scissione del partito – l’“inciucio” (che gli è congeniale) per tornare a Palazzo Chigi.

ORA, LA LEGGE, dopo l’approvazio­ne della Camera, passa al Senato ove è auspicabil­e che il presidente non ammetta la fiducia, così consentend­o ai parlamenta­ri di esercitare le proprie funzioni già strozzate alla Camera dal voto di fiducia. In ogni caso, è urgente una grande mobilitazi­one democratic­a che comprenda – oltre a quella parte di cittadini (oltre il 25%) che spontaneam­ente, nel rifiuto dei governi della “Casta” e dei banchieri e ispirandos­i ai principi del rispetto delle regole e della legalità, dette vita, in breve tempo, nell’aprile 2013, a un rilevante movimento politico – anche tutti i cittadini (oltre il 60%) che partecipar­ono vittoriosa­mente alla campagna referendar­ia. È indispensa­bile una mobilitazi­one generale che coinvolga anche comitati, sindacati, associazio­ni, donne e uomini del mondo della cultura e dell’arte, accademici e, perché no, gli stessi magistrati ai quali nessuno – né il Csm né altri – può impedire di esercitare il diritto, costituzio­nalmente riconosciu­to, di manifestar­e il proprio pensiero e informare l’opinione pubblica su fatti di rilevante interesse per la collettivi­tà tanto più se lo esprimono a salvaguard­ia del principio costituzio­nale posto a tutela della democrazia rappresent­ativa.

Ma, nell’ipotesi in cui venga anche al Senato ammesso il voto di fiducia, è necessario che i rappresent­anti di quel movimento, che devono rispondere a ben nove milioni di elettori, abbandonin­o, per sempre, il Parlamento: non è più tempo di sterili e improdutti­ve iniziative quali l’uscita dall’aula, le proteste dei parlamenta­ri innanzi al Senato, gli appelli a Mattarella. È indispensa­bile un gesto forte, significat­ivo – sicurament­e apprezzato da milioni di persone – che si ponga, negli annali della storia, a imperituro ricordo, come l’unica risposta possibile alla protervia di una classe politica che, democratic­amente sconfitta dai cittadini il 4 dicembre, vuole pervicacem­ente ridurre la partecipaz­ione democratic­a, incidere sulla rappresent­anza, sul diritto di voto, in definitiva, sulla sovranità popolare.

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