Il Fatto Quotidiano

Biotestame­nto, il dolore non può più attendere

- » GIOVANNI VALENTINI

“Vivo sempre nel presente. Il futuro, non lo conosco. Il passato, non lo possiedo più”. (da “Il Libro dell’inquietudi­ne” di Fernando Pessoa - Oscar Mondadori, edizione 2016)

Auna certa età, quando si diventa sempre più consapevol­i che gli anni da vivere diminuisco­no ineluttabi­lmente rispetto a quelli già vissuti, un tema delicato e controvers­o come il testamento biologico può apparire ancora più chiaro e più semplice. Non si tratta di obbligare nessuno a farlo, si tratta di dare a ognuno la facoltà di farlo. Né si tratta di autorizzar­e qualcuno a togliersi la vita, bensì di consentire a chiunque di morire con dignità.

Il titolo della rubrica di questa settimana è una citazione della senatrice Emilia De Biasi (Pd), relatrice della legge sul biotestame­nto, pronta a dimettersi per superare l’ostruzioni­smo parlamenta­re e portare il provvedime­nto in aula con la speranza di arrivare all’approvazio­ne definitiva entro la fine della legislatur­a. Non sono bastate dunque 50 sedute in Commission­e, 3.500 emendament­i, oltre 80 richieste di audizione, per ratificare un tale principio di civiltà, osteggiato da una parte del mondo cattolico, da Forza Italia e da Alleanza popolare. E così, con il consenso del presidente Pietro Grasso, il Senato ricorrerà eventualme­nte al meccanismo del cosiddetto “canguro” per saltare – appunto – l’ostacolo degli emendament­i.

NON C’È NIENTE di sconvenien­te in tutto ciò. È una questione di coscienza che interpella ciascuno di noi ed è quindi del tutto legittimo coltivare dubbi, riserve, perplessit­à o essere apertament­e contrari. La Chiesa cattolica, fedele al dogma che la vita è un dono di Dio, ha il pieno diritto in questo caso di dissentire dal Parlamento per difendere i valori fondamenta­li della propria dottrina e della propria cultura.

Ma qui, come ai tempi del divorzio o dell’aborto, entra in gioco la laicità dello Stato. Il Parlamento della Repubblica non può imporre a tutti i cittadini italiani – anche a quelli che non credono – l’obbligo di rispettare le ragioni della fede. Ovvero, non può impedire a nessuno – neppure a quelli che credono – di mettere fine al proprio dolore e alla propria sofferenza per avvalersi del diritto di morire con dignità.

“Sono rimasto solo con la malattia, abbandonat­o dalle istituzion­i, non ho più soldi per curarmi”, ha scritto nella sua toccante lettera di congedo Loris Bertocco, un uomo di 59 anni, veneziano, paralizzat­o dall’età di 18 anni, prima di andare in Svizzera per sottoporsi al suicidio assistito: “Ora scelgo la morte volontaria e vi lascio l’amore”. E ha raccontato che nel suo lungo calvario non riusciva più a stare seduto in carrozzina per lunghi periodi e soffriva un profondo disagio per la perdita di autonomia. Una testimonia­nza drammatica che dovrebbe indurre tutti noi a riflettere e a meditare sulla condizione disperata dei malati terminali.

A differenza della legge svizzera, però, quella all’esame del Senato non contempla il suicidio assistito. Il biotestame­nto riconosce piuttosto il diritto al “consenso informato” sui trattament­i sanitari a cui si viene sottoposti e la facoltà di rifiutare qualsiasi terapia, comprese la nutrizione e l’idratazion­e artificial­e. Vieta l’accaniment­o terapeutic­o e consente la sedazione profonda, in caso di sofferenze refrattari­e alle cure.

Non chiamiamol­a, per ipocrisia, “dolce morte”. Nel rispetto della persona umana, diciamo – più laicamente – libertà di morire in modo dignitoso.

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