H. Weinstein ha prodotto il vecchio porco: un successo
Harvey Weinstein è un porco, su questo non ci piove. Ma è anche un porco jellato, perché anche nel regno suino ci sono i rovesci di fortuna. Un produttore che tenta di abusare le attrici è il clichè più vecchio del cinema, da che Hollywood è Babilonia. Per anni molte subivano, molti sapevano, tutti hanno taciuto. Ma anche l’impunito Weinstein ha commesso un errore: non ha tenuto conto della Rete. Nell’era del Web l’abuso di potere più antico del mondo ha generato la prima condanna virale al mon- do. Da Asia Argento in poi si è messo in moto un effetto Mani pulite (anche se in questo caso non si tratta proprio di mani), e ora siamo in piena sindrome Weinstein. Ogni giorno nuove donne fanno outing e si uniscono alla pattuglia delle vittime; mariti e fidanzati osservano preoccupati l’effetto domino, considerato che nessuno può dirsi al sicuro ( dalla violenza alla denuncia possono passare anche vent’ann i). Fango ricco mi ci ficco, pensano i talk show: i marpioni del maschilismo fanno a chi la spara più grossa, Bruno Vespa vara uno s cr eening di massa su attrici e soubrette. “Dica la verità, a lei è capitato?”. La questione diventa filosofica: come si fa a sapere se un produttore (un capoufficio, un capostazione) ci sta provando? Se gli chiedi “Scusa, ma ci stai provando?”, lui risponderà “No di certo” (soprattutto se ci sta provando). Il non plus ultra dell’omertà è diventato show permanente: è la Rete, bellezza. Harvey Weinstein ha prodotto se stesso, e non è un successo.