LA SINISTRA DA CLUB DELLE AUTO D’EPOCA
“TROPPE BRAVE persone, troppe passioni e competenze, troppi voti hanno abbandonato il partito più grande perché incompatibili con tono, vocabolario, rudezza del Capo. Per gli stessi motivi c’è chi ha gradito e tuttora plaude alla grinta”. GIANNI CUPERLO: “SINISTRA, E POI” (DONZELLI EDITORE)
DICHIARARSI di sinistra oggi è un po’ come appartenere a un club di auto d’epoca: ogni tanto partecipi a un simpatico raduno di appassionati ma per correre in autostrada ci vuol altro. Se poi su questa stagione dello “scontento” ci scrivi un breve saggio, con l’uso di un buon italiano e qualche citazione colta vuol dire che vivi proprio fuori dal mondo, nell’epoca della politica gutturale e possibilmente sgrammaticata. A un certo punto Gianni Cuperlo, esponente a lungo ostinato della sinistra (Pd) si deve essere stancato di pretendere da Matteo Renzi il minimo rispetto che si dovrebbe alle diversità di opinione.
Non se n’è andato sbattendo la porta, come i suoi amici e compagni che hanno dato vita al Mdp, e ha preferito allontanarsi e riflettere (altra brutta parola di questi tempi) anche sui propri errori. Questa però non è la recensione di un libro ma un pensierino sull’anestesia della ragione e dei sentimenti (o dei risentimenti). Come in tutte le cose della vita, anche per chi fa politica sentirsi parte di una comunità è fondamentale come l’aria.
Quando però i rapporti personali si sfasciano, e i tuoi compagni di banco cominciano a deriderti giudicandoti un debole magari perché non alzi la voce e ti sforzi di comprendere (orrore) le ragioni dell’altro, la delusione produce distacco ed autocommiserazione. Capita allora che “ci si diriga altrove per legittima difesa senza accompagnare l’atto di un corredo vitale”, e subentri “l’incapacità di progettare un’alternativa e un pensiero scavato” nella vita reale. Senza nominarli si allude ai Bersani, agli Speranza, e forse a quel Massimo D’Alema che dell’autore è stato maestro. Chi ci ha creduto si può anche difendere con un bel sonnifero sperando al risveglio di non vedere più certe facce. Esiste però un’altra strada: dirsi fino in fondo e senza infingimenti la verità sui propri errori, sulle troppe pigrizie e manchevolezze. Riconoscere a se stessi che le colpe di Renzi non possono nascondere lo “scarto” tra ciò che la sinistra avrebbe potuto essere, non è stata e probabilmente nel presente non può essere. L’alibi che scarica le colpe altrove non regge mentre emerge la “fiacchezza di imputare a un corpo estraneo a noi” l’inadeguatezza della sinistra e la sua forse irrimediabile residualità. Renzi si comporta da Renzi e peggio per lui ma se sulla vicenda Bankitalia dall’arcipelago frantumato della sinistra si è udito solo qualche timido pigolio la colpa esclusiva è della maleducazione del Capo? L’altra sera, a Verona, davanti ai cancelli della Melegatti, storica azienda del pandoro sull’orlo della chiusura, c’erano soltanto le telecamere di “Propaganda Live”, ea parlare con i dipendenti impauriti e smarriti il microfono di Diego “Zoro” Bianchi. Non una bandiera, non un esponente della sinistra. Dove erano finiti? A una rievocazione storica della Mille Miglia?