Zaia vince, Maroni pareggia Ma ora chi trema è Salvini
Il 50% dei veneti e (solo) il 32 dei lombardi chiedono più autonomia
Nel voto consultivo per l’autonomia delle due Regioni, il governatore del Veneto trionfa col superamento del quorum della metà più uno. Molto più tiepida la Lombardia. Duro colpo al progetto nazional-lepenista del capo della Lega Nord. Anche perché Berlusconi potrebbe scavalcarlo candidando a premier il leader veneto
Vince il “sì ”. Ma non vince (tutta) la Lega. Esce rafforzato Luca Zaia, mentre Roberto Maroni convince meno: alle 19 di ieri in Veneto aveva votato il 50,1% degli elettori, mentre in Lombardia si era fermi al 31,8 (ultimi dati prima di andare in stampa).
La battaglia del referendum era tutta sull’affluenza, perché la vittoria del “sì” è scontata. Chi era contrario si è astenuto. Così il voto autonomista che doveva (anche) so- spingere il centrodestra alle politiche e alle regionali del 2018, rischia di rimettere in discussione gli equilibri interni allo schieramento. E c’è chi ipotizza che Silvio Berlusconi possa adesso candidare Zaia alla guida del centrodestra lasciando in braghe di tela Matteo Salvini. Il leader della Lega che ieri ostentava un sorriso a trentadue denti, ma piuttosto tirato: “Se alcuni milioni di persone ci daranno il mandato, noi da domani trattiamo con il governo centrale”. Ma che non fosse una giornata trionfale si era già capito all’apertura del seggio di Salvini dove uno dei tre tablet per votare si è rotto. Tra i sorrisi dei presenti, visto che l’acquisto delle macchinette elettroniche è costato al contribuente lombardo 22 milioni. Il governatore Maroni sul referendum ci ha messo la faccia (oltre che 55 milioni della Regione). Anche se nei giorni scorsi aveva abbandonato i toni trionfalistici quasi passando il cerino agli elettori: “Sono contento se riusciamo a superare il 34% dei votanti. Non c'è nessuna spallata da dare al governo, c'è da aprire un confronto. È chiaro che se lo apro io da solo, è un conto. Se lo apro io con qualche milione di lombardi che andranno al voto, è un’altra storia”. Alle elezioni regionali del 2013 Maroni aveva raccolto il 42% delle preferenze con 2,4 milioni di voti (12,9% alla Lega e 10,2 alla lista Maroni Presidente). Con un’afflue nza del 76,7%. Ma soprattutto al referendum costituzionale 2016 in Lombardia si era sfiorato il 64% dei votanti.
Ieri i lombardi hanno votato di più nelle roccaforti della Lega. È andata meno bene a Milano. Ma il confronto con il vicino Veneto non è un biglietto da visita vincente per le regionali del 2018 dove Maroni dovrebbe ricandidarsi.
Non solo: parte dei voti vengono anche dal centrosinistra. Il picco si è toccato in città come Bergamo, dove si è schierato per il “sì” anche il sindaco Pd Giorgio Gori. Proprio il probabile avversario di Maroni alle regionali.
Certo, in Lombardia il quorum non era necessario, come invece in Veneto. Il governatore Zaia nel referendum si è impegnato anima e corpo. E ha vinto. Anche se, a leggere il libro Veneto Anno Zero di Renzo Mazzaro, torna in mente che nel 2014 una consultazione online lanciata da Gian Luca Busato aveva già raccolto 2,4 milioni di voti per l’indipendenza. E poi bisogna ricordare che al referendum costituzionale 2016 aveva votato il 66% dei veneti. Insomma, il governatore esce vincitore, ma confermando so- prattutto l’elettorato che nel 2015 lo aveva rieletto con il 50% dei voti (23% alla sua lista e 17,8 alla Lega). Senza contare che il centrosinistra veneto è da sempre autonomista ed era sostanzialmente schierato per il “sì” (a parte figure come Flavio Zanonato). Poi la Lega veneta dovrà vedersela con il Pdl che ha rivendicato la paternità di questo voto.
Zaia ha dovuto muoversi sul crinale sottile tra chi reclama l’indipendenza e il Veneto moderato che affonda le radici nella Dc: “Noi - ha detto negli ultimi giorni il governatore - non abbiamo niente a che vedere con la Catalogna. Vogliamo l’autonomia: più potere, più competenze e il federalismo fiscale, non l’indipendenza. Il treno passa una volta sola”. Già, la sensazione è che sul referendum per l’autonomia abbia pesato anche la questione catalana. Il confine era molto sottile: poteva funzionare da propellente se gli elettori avessero cavalcato un sentimento di rabbia. Ha rischiato di essere un boomerang quando le manifestazioni di Barcellona e il timore di una guerra civile hanno cominciato a fare paura anche in Italia.
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